Mi chiamo Giorgio Ponte, e nella vita faccio il
precario per Provvidenza e lo scrittore per Vocazione (per una breve bio, clicca qui).
UN BAMBINO, UN MITOMANE
Sono nato a Palermo, ultimo di quattro figli, in
una famiglia incasinata e forse un po' disastrata come solo le famiglie migliori
sanno essere. A casa mia gira voce che volessi fare lo scrittore da quando di
anni ne avevo quattro, la scrittura non sapevo cosa fosse, ma le storie quelle
sì le conoscevo. Pare che un giorno, deluso dal racconto di una favola fatto da
mia nonna, la interruppi a metà della storia per raccontarle la mia versione
della favola, completamente diversa dall'originale, dichiarando infine che
questo era quello che avrei fatto da grande: io volevo fare lo scrittore.
Profezia? Non saprei. Quel che è certo è che se
di questa leggenda familiare io non conservo alcun ricordo, sono però sicuro
che da quando ho imparato a mettere le lettere una dietro l'altra, ho sempre
desiderato raccontare storie, nella convinzione che una buona storia potesse
salvare la vita di qualcuno più di mille discorsi.
Muovendo i miei primi passi da lettore tra
“Fabbriche di Cioccolato” e “Paesi delle Meraviglie” (e Topolini, diciamolo
pure!), avevo presto capito che il potere salvifico di una storia ben scritta sta
nel permetterti di fare un’esperienza di vita “reale” comodamente seduto sul
divano di casa tua. Perciò se avessi usato questo potere per raccontare storie
di speranza, avrei potuto aiutare le persone a credere nella Speranza racchiusa
nella loro vita, pur senza sapere nulla di loro.
Oggi mi rendo conto che in fondo tutto quello che
ho fatto dopo, l’ho fatto seguendo questo intento: raccontare la Speranza, in
tutti i modi in cui mi era possibile. Anche quando, fra liceo e università, per
sette anni abbandonai la scrittura, temendo di non essere capace di arrivare in
fondo a una storia.
PERCHE' LA SPERANZA
Una cosa che dovete sapere della mia famiglia, è
che per quanto qualche disastro lo abbiano combinato, i miei di cose buone ce
ne hanno passate. Per esempio ci hanno passato la Fede: la convinzione
granitica che, qualsiasi cosa fosse successa e per quanto dura potesse essere
la vita, Dio non ci avrebbe mai abbandonato. In effetti, da che ho memoria, Dio
è sempre stato uno di casa per noi, reale e presente quanto il gatto e la nonna.
Tuttavia, si sa, la convivenza non è facile per nessuno, e un coinquilino come
il Signore dell’Universo a volte può rivelarsi alquanto “ingombrante” in casa, decisamente
più del gatto o la nonna. Soprattutto quando Lui non Si degna nemmeno di
presentarsi. Almeno il gatto e la nonna, anche se rompono, li conosci.
Così per molto tempo io e Sua Divinità abbiamo
avuto un rapporto alquanto conflittuale, più di vassallaggio che di
figliolanza. Il problema era mio ovviamente (un altro aspetto decisamente frustrante quando condividi casa con Dio
è il fatto di scontrarsi regolarmente con Uno che alla fine ha sempre ragione.
Ma andiamo avanti…): ero io che non volevo conoscerlo, troppo occupato a
nascondere ogni suo tentativo di incontrarmi dietro a un volto freddo e severo
che non Gli apparteneva.
QUANDO "LEADER" SI NASCE
Uno dei motivi di maggiore conflitto fra me e
“Colui che move il sole e l’altre stelle” era certamente dato dalle sue scelte
sulla MIA vita personale, in fatto di
doni, opportunità, ma soprattutto di ferite indesiderate. Insomma la solita
questione: “Dio, se mi ami come dicono, perché hai permesso che…?”
Nel caso specifico fin da quando avevo sette anni
ho dovuto combattere con una generale confusione sulla mia identità sessuale,
che come molti immagineranno, mi ha procurato non pochi dispiaceri. A questo si
unisca che alle elementari e alle medie non ero esattamente quello che si dice
un bambino popolare. Occhialoni,
apparecchio, stazza da balena e riga di lato, uniti a un carattere da
rompiscatole gne-gne e una certa sfacciataggine con gli adulti,
decisamente non mi rendevano amabile. Non che io facessi granché per cambiare
questa immagine.
In altre parole ero uno sfigato senza amici.
Non avere amici però aveva anche i suoi lati
positivi (sì, come no…): un mucchio di tempo libero per esercitare una
serie di talenti artistici oltre la scrittura, quali canto, recitazione e
disegno. Ed ecco spiegato il mio percorso di studi… variegato (schizofrenico
suonava male)
Maturità classica, Laurea in Comunicazione
sociale e un Master in Editoria, negli anni si sono intrecciati con studi di
impostazione della voce, concorsi canori, laboratori teatrali e provini
fallimentari nel mondo dei talent (brutte storie, meglio non rivangare…).
Da Palermo a Roma, da Roma a Milano, ho percorso
lo Stivale dal Profondo Sud al Profondo Nord in questo lungo, travagliato e mai
del tutto concluso cammino alla ricerca di me stesso e del modo migliore per
restituire quanto di grazia avevo vissuto negli anni.
Nel frattempo, infatti, grazie a una suora mandatami come risposta alla mia prima vera crisi esistenziale, a quattordici anni ricevetti in dono da Gesù (avevo poi scoperto come si chiamava Sua Divinità) la possibilità di scoprire chi fossi, ma soprattutto chi fosse Lui.
UNA GRANDE OPPORTUNITA'
UNA GRANDE OPPORTUNITA'
Battute a parte, entrare nella Famiglia ACJ
(Ancille Cordis Jesu) fu probabilmente la scelta più azzeccata della mia vita. Senza
queste suore, che hanno saputo prendere la spiritualità Ignaziana arricchendola
di tutta l’affettività di cui solo il cuore delle donne è capace, oggi non
sarei la stessa persona.
La suora che mi invitò a partecipare ai gruppi
giovanili legati alla sua congregazione, era la mia insegnante di religione e
in questo modo diede il via alla mia liberazione personale: per la prima volta
qualcuno sapeva la verità sul segreto che mi portavo dentro, l’omosessualità, e
mi aiutava a renderlo meno terribile mostrandomi la promessa di Gioia che Dio
aveva posto nella mia vita, e i doni che già avevo nelle mie mani. Ecco la
scoperta: potevo davvero essere felice, a patto di scegliere di crederlo
possibile.
Lei mi fece uscire dal vittimismo nel quale mi
era rintanato (“Il mio dolore non è l’unico
e il più importante al mondo? Davvero?”), e mi diede degli
amici con cui potevo finalmente condividere la fede (oltre al mare, la pizza,
il cinema, le feste…).
Milan
l'è on gran Milan
E fu così che a venticinque anni, fuggito da Roma e abbandonata la carriera di attore, insieme a tutte le altre cose non necessarie della mia esistenza, feci un master in Editoria, richiesi uno stage a Milano e approdai nella Grande Mela Italiana con un trittico di storie in mano e un sogno folle quanto una certezza: io sarei diventato uno scrittore. Avevo capito infatti, di ritorno dalla Capitale, che il dono che mi era stato affidato perché lo spendessi era sempre stato lì, il primo che avevo scoperto e l’unico per il quale sarei stato disposto ad affrontare qualsiasi difficoltà: la scrittura. E le difficoltà in effetti non mancarono.
E fu così che a venticinque anni, fuggito da Roma e abbandonata la carriera di attore, insieme a tutte le altre cose non necessarie della mia esistenza, feci un master in Editoria, richiesi uno stage a Milano e approdai nella Grande Mela Italiana con un trittico di storie in mano e un sogno folle quanto una certezza: io sarei diventato uno scrittore. Avevo capito infatti, di ritorno dalla Capitale, che il dono che mi era stato affidato perché lo spendessi era sempre stato lì, il primo che avevo scoperto e l’unico per il quale sarei stato disposto ad affrontare qualsiasi difficoltà: la scrittura. E le difficoltà in effetti non mancarono.
Dal mio arrivo nel capoluogo Meneghino, dove
risiedo tutt’ora, sono passati sette anni durante i quali ho sperimentato la Provvidenza
in tutti i modi possibili. La paura di non farcela, unita alla gioia di una strada
che si apre un passo alla volta.
Il primo anno tornai da Milano senza nulla in
mano, a parte una grande rabbia e un’esperienza fallimentare in una casa
editrice talmente di nicchia e ideologizzata da risultare grottesca, oltre a
una esperienza ancora più fallimentare in una, ancora più grottesca, catena di
gelaterie.
Tuttavia non mi diedi per vinto e se è vero che
ogni esperienza ci insegna qualcosa, a me quell’anno diede i giusti spunti e lo
sprone per scrivere una storia di speranza sul mondo del lavoro attraverso la
quale restituire giustizia a una metropoli la cui Bellezza è sconosciuta ai
più, ma soprattutto dare ai miei capi quello che si meritavano: stava nascendo
“Io sto con Marta!”.
Cameriere, gelataio, grafico, commesso di lusso,
commesso schiavo, commesso di ogni tipo, e infine insegnante di
religione: ci sono voluti cinque anni e ogni sorta di lavoro possibile perché
capissi che un libro comico che parlava contro questo sistema del lavoro non
sarebbe mai stato pubblicato da nessuno.
Io però avevo scritto quella storia di Speranza per
le persone. E perciò dovevo fare in modo che le persone la ricevessero. Così,
su consiglio di un’amica, cui devo la vita in molti modi, decisi di fidarmi di
Dio pubblicando “Io sto con Marta!” online a mie spese. Se il mio Amico Signore
dell’Universo voleva, ci avrebbe pensato Lui a fare diventare Marta un libro
vero. A quanto pare voleva.
Marta scalò la classifica di Amazon in un mese.
Di lì a poco, attraverso un corso di scrittura creativa in Cattolica che aveva
dato il via alla mia avventura editoriale conobbi l’allora direttrice della
narrativa Italiana Mondadori, che dopo avermi inizialmente rifiutato, capì di
essersi sbagliata. Il resto è storia.
Grazie a Marta avviai una collaborazione con la
rivista Linc Magazine di Manpower
Group, sulla quale mi fu data la possibilità per un anno e mezzo di raccontare
storie di Speranza controcorrente del mondo del lavoro, mentre
contemporaneamente il mio lavoro di insegnante mi faceva vivere per la prima
volta la paternità. Compresi che ci sono molti modi di “dare la vita” a questo
mondo, alcuni di essi alla portata di tutti. Sempre.
C’è una ragione però se oggi il mio nome non è
più solo collegato a temi quali il precariato e il lavoro. Milano infatti non
mi è stata Madre solo sul fronte professionale, ma anche umano e spirituale. In
questa città dove il tema dell’omosessualità era sdoganato, nel bene e nel
male, da molti anni, ho potuto fare pace con le mie ferite e smettere di avere
paura della mia fragilità, vivendo alla luce del sole per come ero, senza fare
dell’attrazione per gli uomini né una bandiera né un tabù. E paradossalmente
questo mi ha portato ad acquisire una sicurezza tale come uomo, da sentirmi
all’altezza di una donna, fino a scoprire che il mio corpo era in grado di
accoglierne una, se esso era allineato con il mio cuore.
È stato un lungo percorso che è passato dal
seminario di Luca di Tolve (“ex-gay” oggi sposato con una donna), e da
Nicolosi, uno dei padri della teoria riparativa (nome orribile per dire una
cosa bellissima: “noi non siamo le nostre ferite. E le nostre ferite non sono
la nostra condanna”). Attraverso la rimessa in luce dei rapporti familiari, e
il perdono del male che ci eravamo fatti a vicenda, il Signore mi ha condotto
per mano in questo percorso, come un Padre, un fratello e sì, un amante,
paziente e premuroso, aspettando che fossi pronto a portare il peso di ogni
nuova scoperta, per prepararmi al momento in cui avrei dovuto restituire ciò
che avevo ricevuto. Perché “a chi è stato dato molto, molto sarà chiesto”
e nessuno che abbia avuto il dono di affrontare la propria omosessualità in
modo controcorrente rispetto al pensiero dominante, può credere di poter tenere
un dono simile per sé.
Perciò il 13 Maggio 2015, sei mesi dopo l’uscita
cartacea di Marta, una nuova storia di speranza prese il via con il mio
articolo su Tempi “Io omosessuale fra le sentinelle in Piedi”, uscito in
seguito a un altro dell’ottobre precedente scritto in forma anonima, dove
raccontavo la mia esperienza di persona con tendenze omosessuali in difesa
della Chiesa e della Famiglia Naturale.
Da allora ho rinunciato al mio lavoro di insegnante, sperimentando ancora di più la Provvidenza, girando in lungo e in largo l’Italia per raccontare la mia storia e incontrare fratelli con le mie stesse ferite che avevano bisogno di aiuto, in un cammino faticoso quanto ricco di cui non so intravedere la fine, ma che mi entusiasma scoprire passo dopo passo.
Questo percorso mai concluso e che forse durerà
tutta la vita non ha infatti come meta la sparizione delle pulsioni omosessuali
(cosa che nessun percorso può promettere, perché solo Dio può darla se e
quando vuole Lui), ma l’acquisizione di una libertà sempre maggiore rispetto a
ciò che sì è. Non c’è infatti libertà senza sapere la verità su se stessi: che
l’umanità non si divide in omosessuali ed eterosessuali, ma in uomini e donne.
Cristo non ci ha promesso di “essere eterosessuali” (né ci impone di non esserlo), ma di essere liberi, per
vivere una gioia piena, qualsiasi sia la missione cui siamo chiamati o le
ferite che potremmo dover portare. E questo è tutto ciò che conta.
BLOG, ARTICOLI E LIBRI: TUTTO CONCORRE AL BENE
La vita di una persona è fatta di molte cose, e
la mia, come scrittore e come uomo, non fa eccezione. Se è vero perciò che a un
certo punto Marta e la sua storia di speranza si sono dovuti fare da parte per
raccontare un’altra storia di speranza che era importante fosse raccontata,
desidero però con tutto il cuore che la mia omosessualità non diventi l’unica
cosa sulla quale io sia chiamato a parlare d’ora in avanti.
Perché come ho detto in altre occasioni, chi vive
la Speranza di Cristo, quella di sperimentare un amore che libera, non può
accontentarsi di raccontarlo in un solo modo. Ecco il perché di questo blog, ed
ecco perché non voglio cristallizzarmi in un solo genere letterario: continuerò
a scrivere di tutto, anche di cose che con l’omosessualità non hanno nulla a
che fare. Con buona pace di chi cerca nel bene e nel male di incasellarmi
dentro al suo schema personale.
A chi legge, il mio augurio più sincero di
credere nella promessa di gioia scritta sulla tua esistenza.
Che la vostra vita sia sempre la storia più bella
da raccontare.