“Ciao Giorgio, come stai? Ho visto da poco uno degli
ultimi post (tanto criticato) sull'omosessualità della dottoressa De Mari.
Naturalmente quello che ha detto è vero e condivido pienamente, ma mi ha fatto
pensare l'atteggiamento di molti cattolici rispetto alla nostra situazione. Va
di moda dire: "ad un fratello devo dire la verità ad ogni costo se la sua
condizione non è sana" ecc. La verità è ciò che ci porta vicini al Signore
e va sempre cercata, ma è anche vero che una dose di verità va accompagnata anche
da un atto d'amore. È inutile dire si-fa-così-o-colà se non mi si mostra cos'è
l'amore. Altrimenti quelle affermazioni sono solo giudizi fatte da
professorini. Forse sto vedendo la pagliuzza nell'altro e non la mia trave,
però volevo sapere che ne pensi. Scusa per lo sfogo. ;-)"
Ho ricevuto questo messaggio da un
caro amico con cui condivido il cammino, la fede, e anche le ferite. Un ragazzo
con attrazione per lo stesso sesso che sa bene di cosa parliamo quando parliamo
di omosessualità, conosce il valore della castità, lavora sulle sue ferite,
riconosce che l’omosessualità non è un’identità, ma il tentativo di
compensazione di una mancanza profonda ecc. Ve lo dico solo per capire che chi
mi parla, lo fa con piena coscienza e consapevolezza ed è perfettamente in
linea con i valori e le convinzioni di chi scrive (oltre che col Magistero
della Chiesa).
Il suo è stato uno dei più
delicati messaggi seguiti alle dichiarazioni di Silvana De Mari sui danni del
sesso anale al programma la Zanzara. Altri sono stati meno “gentili”, per usare
un eufemismo. Altri invece erano semplicemente addolorati. Giorni fa era uscita
anche una mia intervista nella quale sostenevo la libertà di parola di Silvana
(mi permetto di chiamarla per nome, dal momento che ho avuto la fortuna di
conoscerla personalmente un anno fa), e chiedevo alla gente di non catalogare
una persona sulla base di una dichiarazione in una intervista. Perché ciascuno
di noi è molto di più di una frase detta in un dato contesto.
Premetto che Silvana De Mari è
una persona dalla enorme cultura e intelligenza e certamente non ha bisogno di
essere difesa né da me, né da nessuno. Per il poco tempo che abbiamo trascorso
insieme, ho potuto riscontrare in lei non poche somiglianze con uno dei suoi personaggi
più belli e agrodolci: Rosalba, una regina guerriera che combatte incinta e
vedova, per difendere coloro che porta in grembo. Rosalba è una madre che per i
suoi figli diventa leonessa. E io credo che è in quest’ottica e con
quest’impeto che ogni dichiarazione di Silvana vada letta e ascoltata. Per
quanto possa scandalizzare il suo essere cruda (non crudele), lei si batte per
la salute dei suoi figli spirituali, i suoi pazienti.
Detto questo, anche io ho i miei
“figli” da difendere. Figli di cui pochi si ricordano: le persone con attrazione
per lo stesso sesso che non si identificano nel “Mondo Gay”, ma non trovano
nemmeno spazio per esistere ed essere accolti in Verità da quella Chiesa che
per loro dovrebbe essere madre e che invece troppo spesso, quando non se ne
disinteressa, li inganna tradendo prima di tutto sé stessa (leggi: “Gruppi gay
cattolici”).
Quelli che ho a cuore sono i
molti amici “dalla nostra parte” (se di parti
possiamo parlare), che nell’ascoltare le parole di quell’intervista hanno avuto
la sensazione di venire ridotti a una semplice questione medica, esattamente
come il mondo gay ha cercato di ridurli alla loro pulsione sessuale. Amici come
quello che mi ha scritto il messaggio che vi ho riportato, che pur riconoscendo
come vero ciò che dice la De Mari, sanno che la questione non finisce lì.
Badate, questo lo sa anche la De
Mari. E di certo in un programma di dieci minuti, con due faziosi che cercano
di estorcerti frasi compromettenti, non era facile fare emergere tutta la
propria consapevolezza su un dato argomento.
Ma a maggior ragione mi sembrava
giusto puntualizzare alcune cose.
Parto dal positivo. Lo ammetto:
ciò che più mi è piaciuto di quell’intervento di Silvana è stato il fatto di
riportare l’argomento sul piano della Carne. Perché oggi si tende troppo a spiritualizzare le questioni emotive, in
particolare quelle legate all’omosessualità. In fondo questo è ciò che vogliono
le Gender Theories (Teorie di
Genere): ritenere il genere sessuale puro costrutto mentale e culturale, del
tutto slegato dalla realtà corporea e sessuata. Ma la carne, il corpo, dicono
una Verità su di noi che non può e non deve essere ignorata. Certamente il
genere sessuale viene costruito culturalmente e socialmente, ma sempre a partire da un dato di realtà, non a prescindere da esso.
E quel dato di realtà è il nostro
corpo sessuato. La nostra Carne. Siamo noi.
Perché noi non siamo puro
spirito. Noi siamo anche corpo. Il nostro
corpo, unico e irripetibile come unici e irripetibili saremo noi in tutta la
storia dell’umanità. Il corpo dice chi siamo. Soprattutto se si è cristiani,
seguaci di Colui che si è fatto Carne, e che quella Carne l’ha fatta risorgere,
non possiamo ignorarlo. Il cristianesimo è l’unica religione al mondo che ha
esaltato la Carne umana, rendendola “capace di Dio”.
Quel corpo sessuato, il nostro
Corpo, parla chiaramente: due persone dello stesso sesso non sono fatte per
avere rapporti sessuali tra di loro. E non per accidente, come nel caso di chi
nasce con una malformazione, ma per natura. Nel caso del sesso anale questo è particolarmente
evidente (chiunque sia a praticarlo, maschi o femmine). E la De Mari, da
medico, ha soltanto spiegato bene perché, rivendicando il proprio diritto di
cittadina e professionista a dirlo ai propri pazienti, per il loro bene e la
loro salute (e visto che formalmente questo resta ancora uno Stato democratico,
io difenderò sempre il suo diritto di farlo).
Ovviamente questo non vuol dire
emettere un giudizio di valore su chi fa del suo corpo (e quindi di sé stesso)
un uso diverso da quello fisiologico.
Al massimo potrei giudicare me stesso per averlo fatto innumerevoli volte. So
che si può arrivare a trovarlo piacevole, so che c’è chi lo fa desiderando amare
in buona fede, e so che uno Stato che metta in galera qualcuno per questo motivo
non è uno stato civile. Ma tutto ciò non toglie l’evidenza biologica: il corpo
non è concepito per questo.
Ecco, finora vi ho detto cosa mi
è piaciuto di questo intervento.
Ora vi dico cosa non mi è piaciuto.
Non mi è piaciuto il fatto che
non si sia andati oltre. Badate che per me “oltre” vuol dire “più a fondo”, e
non “al di sopra”. È bene parlare della Verità scritta nella nostra Carne.
Tuttavia fermarsi lì vuol dire restare a un livello superficiale. La domanda
che dovrebbe seguire dopo un’analisi come quella della De Mari è: se il corpo
non è fatto per questo, perché qualcuno desidera andare contro ciò per cui è
fatto il proprio corpo?
Chiunque si ponga questa domanda
sta compiendo un atto di amore grandissimo, perché sceglie di entrare in una
situazione che è molto più complessa di una sua manifestazione superficiale,
per quanto terribile e pericolosa, come il sesso anale. Perché chi si pone la
domanda, chi cerca la Verità, c’è anche speranza che quella Verità la trovi, e
che possa dare una risposta a chi da troppo tempo sente che della propria situazione,
del proprio dolore, non interessa niente a nessuno.
Infatti a questa domanda in troppi oggi non vogliono
rispondere, dentro e fuori la Chiesa. Chi perché conosce la risposta e non
vuole si sappia (pena, la messa in discussione di se stesso), e chi perché se
ne disinteressa (pena, l’essere coinvolto in fastidi che crede, stupidamente, non
lo riguardino).
E in quest’ottica, un intervento
come quello della De Mari, se non viene approfondito, può risultare equivoco e creare
nemici dove non ce ne sono. Oltre a fare soffrire inutilmente tanti che nemici
non sono mai stati.
Ormai è più di un anno che
appartengo a un movimento trasversale fatto da migliaia di persone che lottano
per difendere la verità sull’essere umano, e ancora troppo spesso mi accorgo di
questo: ci si preoccupa di tutti, delle famiglie, dei bambini, delle donne… Ma
a nessuno interessa davvero chi si trova a combattere contro di noi perché è
confuso e avrebbe solo bisogno di essere aiutato a capire: le persone che
questo dramma lo vivono, l’attrazione per il proprio sesso.
Diciamo la verità: in fondo di
omosessualità è sempre meglio non parlare. Combattiamo contro leggi che
riguardano gli omosessuali, ma degli omosessuali non ci preoccupiamo mai, se
non per denunciare ciò che non va nello stile di vita di quella minoranza che
si è accaparrata il diritto di parlare a nome di tutti. E così non facciamo
altro che allargare la ferita, il dolore che è alla base della storia di ogni persona
con tendenze omosessuali e sul quale i movimenti gay hanno costruito un idolo:
il rifiuto.
Il rifiuto del padre, il rifiuto
della madre, il rifiuto dei pari, il rifiuto di sé stessi. Vero o percepito
poco conta: ciò che condiziona un bambino ferito non è l’oggettiva traumaticità
del fatto che lo ha ferito, ma l’esperienza che lui ne fa. Come lui legge le cose. Se quel bambino resterà
inascoltato, se nessuno lo aiuta a capire, allora non crescerà mai. E
continuerà a gridare la sua rabbia, diventando una furia devastante e
vendicativa, in grado di distruggere tutto ciò che tocca, a partire da sé stesso.
In ogni persona ferita c’è un
bambino così.
E ogni persona con attrazione per
lo stesso sesso è una persona ferita.
Come tutti, direte voi. Esatto,
come tutti. Per questo chi si disinteressa di chi prova attrazione per lo
stesso sesso, in fondo si sta disinteressando di chi prova dolore in senso
generale. E quindi forse anche di se stesso.
È sbagliato assolutizzare un
dolore piuttosto che un altro. Io l’ho sempre detto. E lo dico conoscendo che dolore
sia: la sensazione di non essere mai all’altezza della propria idea di uomo (o
di donna). Tutti sono più forti, più belli, più socievoli, più intelligenti,
più alti, più… tutto! E tu sembri sempre
sbagliato, fuori posto, incompleto.
È brutto, certo. Ma chi non lo ha
vissuto? Per questo non si può e non si deve credere o pretendere di aver
sofferto più di altri, giudicando le sofferenze altrui di cui non sappiamo
nulla. Tuttavia ignorare quel dolore e altrettanto sbagliato e inutile. È come
sbattere una porta in faccia ancora una volta, per l’ennesima volta a quel
bambino che piange e grida in attesa che qualcuno si accorga di lui e lo
consoli.
Abbiamo continuato a vedere solo
nemici, dall’altra parte della barricata, e il nostro sguardo li ha resi sempre
più tali. Dimenticando che solo quando uno si sente guardato per il bene che è
in lui e che non sa di possedere, egli inizia a diventare quel bene. Quando smettiamo di guardare uno come nemico,
gli diamo una possibilità di riscatto.
È difficile, lo so. A volte anche
per me. Ma dobbiamo provarci.
Inoltre oggi questa è una
questione che riguarda la totalità delle persone e non solo chi ha attrazione
per lo stesso sesso. Viviamo in una società ferita e fragile, della cui
fragilità l’omosessualità è solo un sintomo.
Uno fra mille altri molto più diffusi, a partire dall’instabilità affettiva (per
continuare con la dipendenza dalla masturbazione, dalla pornografia, dal sesso
compulsivo ecc). Molti che additano gli omosessuali come perversi, non si preoccupano di soffermarsi sui propri
comportamenti disordinati, solo perché più culturalmente accettati (talora
anche in confessionale, in aperto contrasto con ciò che il Vangelo ha sempre
insegnato). E questa idiosincrasia è una cosa di cui veniamo facilmente
accusati anche da i nostri detrattori nel mondo gay e sulla quale varrebbe la
pena di riflettere.
Non si tratta di buonismo, né di
rinunciare alla Verità, ma di porre la questione in altri termini, come il messaggio
del mio amico ha giustamente messo in evidenza: si tratta del rapporto fra
Verità e Amore.
Dice
lui: “una dose di verità va accompagnata
anche da un atto d'amore”. Lo dice e ha ragione. Non può esserci amore
senza verità, perché esso è buonismo e conduce alla morte. Se non ti dico che
ti stai facendo del male non ti amo.
Ma
anche la verità senza amore uccide. Essa diventa Legge, e la Legge non salva.
Se ti dico solo che sbagli, ma poi non ti dimostro che il mio amore resta
nonostante lo sbaglio… allora, di nuovo non ti sto amando.
Per questo sono felice che la De
Mari abbia detto ciò che ha detto. Perché che il sesso anale faccia male è vero.
Ciò che chiedo però (e non alla De Mari, che so che nel suo lavoro lo fa già) è
che qualcuno non si preoccupi solo dell’ano di chi ha attrazione per lo stesso
sesso, ma anche del suo cuore ferito.
Perché sanando quel cuore, quello
vero, quello che sanguina, il resto del corpo lo seguirà. Compreso l’ano.
E scusatemi se sono crudo. Come la Carne.
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