lunedì 2 gennaio 2017

"GIORNI DI UN FUTURO PASSATO", da LincMagazine, Dicembre 2015

Un anno fa si è conclusa la mia collaborazione con Manpower Group, azienda con la quale ho avuto modo di lavorre con gioia, e con la loro rivista Linc Magazine, per la quale tenevo la rubrica di storie di speranza sul mondo del lavoro "Io sto con Giorgio!". Questo fu l'ultimo articolo, in chiusura 2015 e in chiusura di un evento come EXPO, diventato famoso più per le polemiche che per le prospettive che si riprometteva di aprire. A un anno da allora, l'augurio che contiene mi sembra ancora attuale e valido per questo 2017. Il futuro che ci aspetta infatti affonda le radici nel nostro passato. Che le vostre radici siano sempre salde e profonde per permettere alle vostre fronde di stendersi lontano. 
***
La storia che vi racconto oggi è avvenuta un anno fa, durante uno dei miei soliti incontri casuali-volontari, e già allora mi colpì parecchio.

Mi trovavo sulla navetta per l’aeroporto di Linate e avevo appena ricevuto le bozze definitive della copertina del mio romanzo, Io sto con Marta!. Preso dall’entusiasmo, e un po’ dalla preoccupazione, senza pensarci su (difetto che ho spesso, quando parlo) mi voltai verso la mia vicina di sedile, una donna giovane, con un bimbo in braccio e brandendo il mio cellulare a un centimetro dal suo naso le chiesi: “Lei lo comprerebbe un libro con questa copertina?”

La malcapitata, pur stringendo un pelo più a sé il bambino, per fortuna ebbe la gentilezza di non alzarsi e scappare a gambe levate e mi rispose, dopo averci pensato un po’ su, che sì, le piaceva e l’avrebbe comprato.

Poco da dire: dopo un secondo ci stavamo raccontando le rispettive vite. E sentite cosa scoprii: la ragazza stava fuggendo dalla Germania per tornare nella sua terra, la Puglia. Tranquilli, niente che evocasse scenari da Seconda Guerra Mondiale.

Però no, non avete capito male: un’italiana, per di più meridionale, stava fuggendo dall’economia più florida del vecchio continente (o almeno così si dice) per tornarsene nella profonda terronia (sono terrone anche io, mi è concesso chiamarla così!).

Con il marito avevano deciso di sfruttare un’occasione propizia e aprirsi un negozio a Berlino un anno prima. E come lo avevano aperto, ora lo stavano chiudendo in tutta fretta per tornare a gestire quello di famiglia nel loro paese.

Perché, direte voi? È quello che le ho chiesto anch'io.

Semplice: quella non era l’Italia. La cultura, il tempo, il modo di stare assieme… tutto era diverso. E tutto questo non valeva i vantaggi economici e gli sgravi fiscali. Loro non volevano un futuro lì. Certamente lei e il marito erano più fortunati di altri ad avere una vera opportunità di scelta, ciononostante questa storia non mi ha lasciato indifferente. Il motivo per cui ve la ripropongo oggi, dopo un anno, è proprio legato al futuro che vogliamo.

EXPO è finita da poco: le code, i disagi e le polemiche sono a un tratto alle nostre spalle, insieme agli spettacoli, agli sponsor, alle luci e i giochi d’acqua e al sogno di un mondo che dia “energia per la vita”.

E adesso? Qual è il futuro che ci aspetta? Cosa resterà di questa immensa vetrina mondiale?

Se una cosa da questo evento ho imparato è che il nostro pianeta è composto di una varietà infinita di risorse naturali e culturali che vanno rispettate e preservate, poiché dalla diversità nasce la ricchezza. In tutti i sensi possibili.

Se però a questa diversità volteremo le spalle, forzati dalle circostanze a un’omologazione economica quanto culturale, saremo come alberi che protesi verso un corso d’acqua  finiscono sradicati dal terreno buono nel quale sono cresciuti, rischiando di morire.

Ecco, io credo che la storia della mia malcapitata compagna di viaggio ricordi a tutti proprio questo: le nostre radici ci dicono chi siamo, e senza di esse non possiamo vivere. E i Pugliesi, con i loro olivi secolari, lo sanno bene.

Se una speranza deve lasciarci EXPO è che nel futuro ognuno di noi possa “nutrire il pianeta”, dal piccolo frammento che ne occupa, in cui è nato è cresciuto, lì dove affondano le sue radici. Che chi parte, lo faccia perché vuole, come è capitato a me, e non perché deve. Che più che a una pianta che si sradica, sia simile a un rampicante, che arriva lontano continuando a nutrirsi della terra che lo ha generato. E che il lavoro, come l’economia, tornino a essere “energia per la vita” delle persone, e non la vita delle persone energia (o combustibile) per il lavoro.

Natale è vicino e a tutti è concessa una preghiera. La mia per voi, per noi tutti, sarà questa: che il nostro futuro non rinneghi il nostro passato.

A tutti, chi ce l’ha e chi ancora no,

Buon Lavoro!

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.