Dopo il mio ultimo post sul piccolo Charlie e il caso dello psicanalista Ricci, rompo il mio silenzio e torno a parlare di ferite dell’identità, e quindi di omosessualità che di queste ferite è un possibile “sintomo”. Premetto, per i molti che in questi tre mesi mi hanno chiesto se stessi bene, o se mi fossi ritirato “dall’agone”: state tranquilli. A volte, per potere riprendere il cammino e il combattimento abbiamo bisogno di fermarci, deporre le armi, e riposare.
Questo tempo inoltre mi è servito anche per recuperare la correzione su GIAIRO, il secondo libro di “Sotto il Cielo della Palestina”, che, al
contrario di LEVI, mi ha preso molto più lavoro, spero con beneficio per chi lo leggerà.
Tuttavia l’anno sociale è ricominciato e non si può restare nel silenzio a lungo, quando fuori “il mondo brucia”, per citare un vescovo amato da una persona a me molto cara. Molti sono ancora coloro che vivono situazioni simili alla mia e attendono di sapere che non sono soli. Perciò, eccomi qui, di nuovo.
Tuttavia l’anno sociale è ricominciato e non si può restare nel silenzio a lungo, quando fuori “il mondo brucia”, per citare un vescovo amato da una persona a me molto cara. Molti sono ancora coloro che vivono situazioni simili alla mia e attendono di sapere che non sono soli. Perciò, eccomi qui, di nuovo.
In
questi due anni di incontri e conferenze in tanti mi hanno chiesto di scrivere
qualcosa, un libro, un vademecum sul tema dell’omosessualità, che raccontasse
la mia esperienza e servisse da guida a chi cerca risposte alternative per se
stesso, o per aiutare coloro vicino a lui che vivono un’attrazione per lo stesso
sesso, magari anche con delle proposte pastorali. Probabilmente prima o poi lo
farò. Intanto provo a usare questo blog per dire alcune cose sul piano teorico,
senza avere la pretesa di esaurire tutto sull’argomento.
Prima
di entrare nel vivo però, vorrei chiarire una volta per tutte in virtù di cosa
io possa permettermi di parlare su questi temi. Posto che nessuno, in ogni
caso, è costretto ad ascoltarmi.
L’accusa
infatti che i miei detrattori mi fanno più spesso è di non essere qualificato
per parlare di omosessualità da un punto di vista psicologico, né da
qualsivoglia altro punto di vista (a meno di sostenere il pensiero dominante
del “sei nato così”, naturalmente).
Tale
accusa si declina in due "sottoaccuse":
io
sono cattolico;
io
non ho una laurea in psicologia.
Oggi
vorrei soffermarmi sulla prima: secondo i miei detrattori, essendo cattolico,
la mia posizione sull’omosessualità dipenderebbe tutta da una visione dogmatica
impostami dalla Chiesa, che io avrei assunto come vera e alla quale avrei
cercato di uniformarmi passivamente.
Sorvolo
sul fatto che non esiste persona al mondo che non legga la realtà secondo un
sistema valoriale di riferimento, e il fatto che il mio sia cattolico non
significa che questo mi renda più parziale di chi magari ha come riferimento
l’ideologia comunista, il capitalismo, la religione islamica, il razionalismo o
chissà cos’altro. Il problema vero, in ogni caso, più che nel sistema di
riferimento, dovrebbe stare nel motivo per cui lo si adotta e con che atteggiamento.
In altre parole: è vero che io sostengo la posizione della Chiesa in maniera
dogmatica, cioè come dato di fatto indiscutibile?
No.
Per niente. E la mia storia lo testimonia.
Nella
mia vita mi sono permesso di sperimentare ogni aspetto della mia omosessualità,
da quelli peggiori a quelli migliori, senza che la mia fede e ciò che mi
dicevano essere buono (ma che in certi momenti mi sembrava irraggiungibile), mi
fermasse in questa totale messa in discussione di quanto mi era stato
insegnato.
In
alcuni periodi sono arrivato a vivere alla luce del sole comportamenti
apertamente contrari a quanto la mia fede mi chiedeva, pur non rinnegandola mai
(e senza mai avere la presunzione di dover essere “capito” dalla Chiesa, solo
perché non avevo la forza di rispondere alla sua proposta, o di capirla io per
primo). Ho sperimentato la vita gay, i locali, il sesso occasionale; ma ho
anche avuto relazioni “stabili” (per quanto sia possibile la stabilità tra due
uomini con una relazione vissuta sessualmente), mi sono innamorato, e mi sono
assunto la responsabilità di vivere una storia con una persona anche sul piano
sessuale, pur sapendo che questo contrastava con quanto chiesto dalla mia fede.
Ho vissuto la dipendenza sessuale e quella affettiva; ma ho anche avuto la
grazia di amare un fratello tanto da lasciarlo libero di andare, nel momento in
cui ho capito che questo era il suo bene; ho odiato il mio orientamento
sessuale fino a desiderare con tutto il mio cuore cambiarlo, e poi ho accolto
la mia attrazione omosessuale come parte della mia storia, fino a oppormi a
qualsiasi cambiamento, anche quando mi era innamorato di una donna; per
arrivare ad oggi che capisco che “il cambiamento” non va né inseguito né
ostacolato, poiché non è il nocciolo della questione.
Ho
vissuto il peggio e il meglio. E tutto senza mai dare per scontato nulla. Mi
sono interrogato e ho interrogato centinaia e forse migliaia di persone, su
come vivessero, sulla loro storia, su quanto fossero felici, trovandomi a letto
con loro o meno. Ho fatto (quasi) ogni sorta di pratica che prima giudicavo
impraticabile; sono stato usato e io stesso ho usato tantissime persone; ho
toccato il fondo e sono risalito, più e più volte. E sebbene non vada fiero
delle molte bassezze che ho compiuto, non le rinnego, poiché ciascuna di esse
era un passo di un cammino autentico nella ricerca di me stesso e di quell’uomo
che Dio aveva in mente quando mi ha creato.
Se
da un lato infatti, è vero che non ho mai smesso di credere che un Dio ci
fosse, dall’altro ho più volte dubitato del fatto che Egli si interessasse a me
e mi amasse. E anche quando questo mi è risultato chiaro, non ho mai smesso di
cercare una strada per vivere tutto quello che ero, fragilità comprese, con
Lui, al di là delle risposte semplicistiche che talvolta mi venivano date dai
sacerdoti e che non rispondevano alla totalità delle mie domande, risultando
spesso castranti.
Perciò
ecco, alla luce di tutto questo, non mi si può proprio dire che la mia sia una
visione dogmatica delle cose.
Se
ad oggi dico quello che dico, è solo perché da ciascuna di queste esperienze,
anche le peggiori, ho appreso qualcosa che mi mostrava una verità
insopprimibile al fondo di noi, che è la stessa che difende la Chiesa da
sempre: la nostra natura non è definita dai nostri desideri, ma dal nostro
corpo maschile e femminile, in termini biologici, e in termini spirituali dal
nostro essere figli di Dio per lo Spirito Santo che questo corpo lo abita. E se
il nostro corpo, la nostra carne, dice una verità su di noi, definendoci come
maschi o femmine, dice anche in maniera evidente che due persone dello stesso
sesso non sono fatte per avere rapporti sessuali tra di loro (il che però non
impedisce loro di amarsi, se per amore intendiamo il modo in cui Cristo ama
noi: “dando la vita per i propri amici”).
Quindi
ecco: sì sono cattolico, ma per sostenere ciò che dice la mia Chiesa, ho dovuto
prima metterlo in discussione radicalmente, per arrivare poi a scoprirne la
bontà. Badate, non sto dicendo che questo sia il modo migliore di fare: non
occorre sempre provare tutto per sapere cosa è male. Anzi, se uno imparasse a
fidarsi dell’esperienza di chi ha già vissuto certe cose, si risparmierebbe
tanti guai. Dico solo che nel mio caso il mio approccio è stato tutt’altro che
teorico, o basato su una fede cieca. E di questo, nel bene e nel male, porto
ancora i segni addosso.
In
un’epoca in cui, più di ogni altra, siamo chiamati a rendere ragione di quello
che crediamo, io ho cercato quelle ragioni umane che supportassero ciò che mi
veniva detto per fede: che avere rapporti sessuali con un altro uomo non mi
avrebbe fatto bene. Per inciso, questo è anche ciò che inviterei a fare a chi
si preoccupa di una pastorale per chi ha ferite dell’identità: prima di deporre
le armi di fronte al pensiero dominante, come molti sacerdoti e vescovi stanno
facendo (in buona o cattiva fede), verificate se non ci siano risposte umane
che diano ragione di quanto la Chiesa propone e dice su questo argomento.
Perché
le risposte, fratelli miei, ci sono. E se non ci sono, vuol dire che non le
abbiamo cercate abbastanza.
Se
c’è una cosa che ho imparato, infatti, è che tutto quello che noi crediamo sul
piano spirituale, da cristiani, affonda le sue radici prima nella nostra
umanità. Non c’è fede al mondo come il cattolicesimo che rispetti di più la
natura umana nella sua interezza. E questa corrispondenza non si contraddice
quando affrontiamo le cose dal punto di vista scientifico (se parliamo della
scienza vera: quella che cerca di capire la realtà, e non di piegarla
aprioristicamente alle proprie teorie e speculazioni ideologiche).
In
fondo come potrebbe essere altrimenti? Poteva un Dio che ha preso appieno la
nostra natura umana contraddire la Sua stessa volontà e l’ordine che Lui stesso
aveva creato? Ma se tutto ciò che è cristiano è anche profondamente umano,
allora tutto quello che noi crediamo buono per la vita, deve avere in realtà,
prima di una ragione spirituale, una motivazione umana e terrena, che sia
riconoscibile sul piano razionale da qualsiasi uomo intellettualmente onesto, a
prescindere dalla propria fede.
E
in questo l’omosessualità non fa eccezione.
A
un certo punto del mio cammino, infatti, mi è stata data la grazia di scoprire
alcuni impianti teorici e scientifici che supportavano in maniera solida quello
che io avevo verificato nella mia esperienza personale e in quella di tutti gli
uomini che avevo incontrato: che l'omosessualità non è immutabile, ha delle
ragioni, e va compresa per tutti i comportamenti ad essa correlati che
impediscono una vita pienamente libera, al di là di quelli strettamente
sessuali. Tali studi sono tra l'altro gli unici coerenti con la visione e le richieste della Chiesa.
Mi
riferisco alla cosiddetta Teoria Riparativa, di cui magari parlerò più nello
specifico in un’altra occasione e di cui il defunto Joseph Nicolosi era uno dei
padri.
E
sapete che ho scoperto una volta di più? Che la Chiesa ha ragione, quando
chiede la castità, a chi ha ferite dell’identità come a tutti. Ha ragione sul
piano psicologico, e umano prima che su quello spirituale.
Ha
ragione, anche se nemmeno Lei sa perché.
E
talmente poco lo sa, che i suoi pastori hanno iniziato a dubitare
dell’effettivo beneficio che una vita vissuta secondo il vangelo potesse
portare. Mentre
gli altri cercavano giustificazioni “scientifiche” o pseudo-tali per vivere
assecondando ogni proprio desiderio in maniera indiscriminata, la Chiesa non si
preoccupava di capire perché fosse davvero bene per l’essere umano fare
diversamente, forse nostalgica di un mondo in cui si facevano meno domande.
Per
questo motivo oggi chi cita il Catechismo sul tema dell’omosessualità viene
accusato di dogmatismo. Perché quando si chiede perché è bene per una persona
con tendenze omosessuali non ascoltare quello che per lei sembra un desiderio
istintivo di amore, la risposta che più facilmente si ottiene può essere
riassunta più o meno in un “perché sì”.
Ecco,
a me il “perché sì”, da cattolico, non è mai bastato. Ed è per questo
che, da cattolico, mi riservo il diritto di parlare.
L’unico "vizio" che mi riconosco in questo percorso, è stato quello di fidarmi del fatto che un bene ci fosse a
andasse cercato. Molti di fronte al “perché sì”, hanno semplicemente scelto di
non fidarsi più di chi li guidava e della loro buona fede e sono andati da
altre parti.
Se
non ti fidi del fatto che chi ti ama sta cercando di dirti qualcosa per il tuo
bene, allora non cercherai nemmeno di capirne le ragioni che lui non sa
spiegarti.
Perciò
ecco: sì, sono cattolico e parlo da cattolico. Tuttavia il mio essere cattolico
è nella libertà di chi non si rapporta con sudditanza alla sua Chiesa, ma in un
rapporto di figliolanza che prevede anche il conflitto, ma che non permette a
quel conflitto di mettere in dubbio l’amore, e in virtù di questo amore cerca
di comprendere Colei da cui è amato e che ama.
Sono
liberamente Cattolico, ortodosso, ma non dogmatico, fedele per ciò che Dio mi
concede, peccatore secondo quanto la mia natura mi impone. E per questo mi
sento libero di parlare e testimoniare ciò che ho verificato, anche a chi non
mi ritiene credibile per farlo.
Per
quanto riguarda la seconda accusa che mi si rivolge: io non ho una laurea in psicologia,
ne parlerò in un secondo momento. Per ora volevo solo farvi sapere che sono
tornato e che riprenderò a parlare, ovunque mi si darà l'opportunità di farlo.
A
chi crede e a chi no, non smettete di cercare la Verità.
Voi
siete meravigliosi.
P.S.
Chi
volesse contattarmi per incontri o altro, per ora deve pensarmi nel Veneto e
ricalcolare le distanze fra noi. Dopo sette anni ho lasciato la mia Milano,
città straordinaria che ho molto amato, e mi sono trasferito a Verona (per
quanto tempo ancora non lo so), seguendo un impulso che spero sia di Dio. Era
per questo che mesi fa avevo chiesto preghiere. Grazie per chi mi ha ascoltato.
Continuate a pregare, perché io capisca ciò che mi è chiesto e abbia sempre la
forza di farlo. Ne ho bisogno, incessantemente.
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