lunedì 27 giugno 2022

"Scegli la vita!" - Il MAGISTERO, LA NATURA E LA VERITA' DEL CORPO - La seconda parte dell'intervista "abortita" al gruppo LGBT 'cattolico' Gionata.


Continuiamo con la pubblicazione dell'intervista richiestami a febbraio da due membri del sito gay-'cattolico' Gionata, e poi da quello stesso sito censurata. Nella prima parte (che trovate a questo link) si è parlato in generale della morale sessuale proposta dalla Chiesa a tutti, cercando di spiegare la bellezza "nascosta" nella sempre troppo fraintesa proposta della castità. Oggi invece pubblichiamo la domanda/risposta riguardante più specificatamente le posizioni della Chiesa di fronte a chi compie atti omosessuali, e se ha senso aspettarsi mutamenti in futuro in ambito pastorale rispetto a queste posizioni. Buona lettura!


La Chiesa ha rinnovato continuamente il suo pensiero socio-psico-pedagogico ed antropologico, dalla Rerum Novarum a Fratelli Tutti tanto per fare alcuni esempi - per non parlare del concilio Vaticano II. Secondo te perché non potrebbe/dovrebbe sviluppare un punto di vista diverso rispetto all'omosessualità?

Prima bisogna capire cosa significhi davvero il termine rinnovamento nella storia della Chiesa. Infatti ciò che la Chiesa ha fatto nei secoli in termini di rinnovamento, non è mai stato una rivoluzione, cioè un azzeramento di quanto accadeva prima per ricostruire ex novo qualcosa di completamente diverso. Nemmeno Gesù si è mai posto così nei confronti della legge di Mosè (Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. Mt 5,17). Pertanto, a ben guardare, tutte le cose “nuove” che la Chiesa ha “scoperto” nei secoli, se così possiamo dire, quelli che noi abbiamo percepito come  erano sempre coerenti e logicamente conseguenziali con quelle precedenti, e mai potevano porsi in contrapposizione con quanto il vangelo aveva rivelato fino a quel momento.

I cambiamenti sono avvenuti lentamente nel tempo, più sul piano di sfumature e approfondimenti di significato, o su tale o talaltra pratica, ma non hanno mai contravvenuto alle Verità strutturali consegnateci dal vangelo (oltre che dalla realtà oggettiva), compresa la Verità iscritta biologicamente nel nostro corpo. Il concilio Vaticano II in particolare è stato proprio il concilio che meno in assoluto ha fatto questo, essendo l’unico della Storia ad avere avuto una natura puramente pastorale, senza mettere in discussione una sola verità di fede.

E in questo senso quindi nessuna direzione pastorale sulla cura delle persone omosessuali che nasca dalle riflessioni di qualsiasi concilio, può porsi in antitesi con la Verità fondamentale che la scrittura riconosce della natura umana. Citando letteralmente il testo, e non la traduzione corrente: “E dio creò l'uomo a sua immagine. A sua immagine lo creò. Maschio e femmina LO creò” (Gen 1,26-27). ‘Lo’: singolare. Cioè uno, un’unità. Perché l’unione naturale di uomo e donna è l’unica che esprima la completezza della natura umana, e quindi l’unica che riveli in modo compiuto l’immagine di Dio nascosta nell’uomo. Inoltre in nessun’altra unione le due persone possono diventare oggettivamente una sola carne, nella carne dei figli (che solo da questa unione possono nascere), e nel sacramento che cambia la sostanza dei due sposi facendoli “Uno” con Dio, anche quando i figli non ci sono

Va da sé perciò come qualsiasi pastorale che incoraggi unioni carnali di altro tipo, tra persone dello stesso sesso come tra persone di sesso opposto che ricorrano a pratiche simili fuori o dentro al matrimonio, si ponga in una posizione di per sé eretica, perché contrapposta a una Verità che è iscritta nella nostra stessa biologia, prima che nella Scrittura: il nostro corpo non è fisiologicamente fatto per essere usato così. 

Se volessi tradurre il messaggio del Magistero in merito, il senso è più o meno questo: il corpo ha delle funzioni naturali per cui è progettato e pensato (e questa è un’evidenza scientifica e biologica, non di fede), e chi pratica un sesso di tipo diverso da quello pensato per l’unione tra uomo e donna, sta forzando il proprio corpo per qualcosa che non gli è proprio, e questo certamente finirà col danneggiarlo. Infatti è questa l’unica finalità del vangelo, e quindi del magistero che da esso deriva: che l’uomo non si danneggi. È importante dirlo, perché a volte viene dimenticato: la Chiesa non ha alcun interesse a condannare chi vive diversamente, ma a evitare che si faccia male. Poiché chi fa il male, si condanna già da solo all’infelicità. “Ho posto davanti a te la Vita e la morte. Scegli la Vita” (Cfr Dt 30, 19).

È la Vita, cioè il Bene autentico della persona, che Dio desidera. Non la sua condanna.

Se il corpo infatti è stato creato da Dio con un ordine, andare contro quell’ordine ha in sé qualcosa di dannoso, perché pone la persona contro la sua stessa natura. E andare contro la nostra natura, non può mai essere un bene. Qualcuno potrebbe dire che nella propria percezione non sente naturale l’attrazione per l’altro sesso, tuttavia è importante capire che la nostra natura non è identificabile semplicemente con quanto noi percepiamo come inclinazione o desiderio, altrimenti il ladro che sente una pulsione istintiva verso il furto potrebbe giustificare un atto oggettivamente sbagliato sostenendo che quella sia “la sua natura”. E così non è. I desideri cambiano, così come le pulsioni, e fare dipendere da essi la nostra identità, la nostra “natura”, renderebbe ciò che siamo mutevole come i colori del cielo. Il concetto di Natura infatti è un concetto molto complesso per il quale servirebbe tutta una serie di approfondimenti impossibili da fare ora, ma mi limito a dire che esso è strettamente collegato alla realtà del corpo e alla finalità che in esso è iscritta, in modo simbolico, quanto concreto.

D’altra parte per una fede che ha al centro l’incarnazione del Verbo di Dio e la resurrezione della carne, non è concepibile su nessun piano una visione antropologica che stacchi l’uomo dalla realtà oggettiva della propria carne, cioè il proprio corpo, ponendolo su un piano puramente spirituale o mentale, di desiderio. E questo vale sempre: io posso anche desiderare essere alto due metri, ma in alcun modo questo cambierà la realtà oggettiva del mio essere alto un metro e settanta. Per questo non esiste modo, se non quello che sfoci nell’eresia (e direi nell’irrazionalità cognitiva), per vedere un atto omosessuale di qualsivoglia tipo come un atto che non sia disordinato e contro natura.

Infatti è molto importante sottolineare come tutto ciò che la Chiesa dica in merito, riguardi solo questo: l’atto sessuale. La Chiesa non si esprime mai sui sentimenti, sul cuore, sulle intenzioni delle persone con attrazione omosessuale, perché queste sono tutte cose che attengono all’intimo dell’uomo, e che solo Dio può conoscere. E in questo senso il suo è un messaggio coerente: dire che gli atti omosessuali sono contro natura, dice un’evidenza che resta tale anche quando gli stessi atti (sesso orale, anale, pratica masturbatoria, ecc) sono compiuti tra uomo e donna (cosa che a volte qualche solerte parrocchiano dimentica, nel puntare il dito contro chi ha attrazione omosessuale, dimenticando che magari con la propria moglie fa le medesime cose). Non c’è nessuna stigmatizzazione dell’attrazione omosessuale in sé. Se c'è essa non riguarda le posizioni ufficiali della Chiesa, ma il tale o il talaltro prete.

A ben guardare infatti ogni atto sessuale che non sia quello naturale tra uomo e donna si riduce in fondo a un atto masturbatorio portato alle estreme conseguenze, dove le due persone diventano strumenti di piacere reciproco. E nessun atto masturbatorio può essere espressione di un amore donativo. Il che è tanto oggettivo da non poter esser messo in discussione nemmeno dalle migliori intenzioni di chi lo compie.

Come abbiamo già detto infatti, non sono i desideri o le intenzioni a cambiare la realtà oggettiva delle cose. Uno scrittore americano, Philip K. Dick, diceva che “la realtà è quella cosa che esiste anche quando hai smesso di credervi”.  Per quanto non sempre sia facile discernere, una cosa resta buona o cattiva al di là dell’opinione che noi ne abbiamo. Persino un uomo che si fa saltare in aria per uccidere quelli che ritiene dei miscredenti, lo fa nella convinzione di stare facendo il bene. Tuttavia questo non renderebbe migliore il massacro di decine di persone in un attentato terroristico. Dinnanzi a Dio forse un terrorista potrebbe non essere giudicato colpevole, se è stato manipolato fin da quando era piccolo, se davvero gli è mancata la possibilità di comprendere ciò che stava facendo, se quindi gli è mancata una vera libertà di scelta, ma il suo omicidio resterebbe comunque male in sé, a prescindere dal fatto che lui ne fosse cosciente o no.

Questo è logico e conseguenziale e sebbene, (ed è ovvio) qui non si voglia dire che un atto sessuale contro natura sia paragonabile a una strage terroristica (pietà, ora non mettetemi in bocca cose che non ho detto!), il principio di fondo resta lo stesso: se una cosa è male, resta male, al di là della sincera buona fede di chi la compie.

Quindi, lo ribadisco, qualsiasi “pastore” manipoli la teologia e la Scrittura per giustificare teorie che non considerino la realtà oggettiva del corpo, 'spiritualizzando' l’essere umano e le sue azioni solo in funzione dei propri desideri, sta dicendo un’eresia (e purtroppo il più delle volte, al contrario del terrorista di cui sopra, ha gli strumenti culturali e cognitivi per esserne consapevole. Sui motivi per cui fior fiore di sacerdoti e teologi si siano impegnati in tal senso, ci sarebbe molto da dire, ma mi riservo di farlo successivamente).

In conclusione voglio solo ricordare ancora una volta come tutto ciò che ho detto non costituisca per me un giudizio morale su chi vive la sua sessualità e l’omosessualità diversamente. Ricordo che io ho fatto (e a volte mi può ancora capitare di fare) molti di quegli atti sessuali, sia promiscuamente, che in relazioni con uomini a cui volevo bene. Conosco le dinamiche che si instaurano tra persone dello stesso sesso e sono il primo a capire chi le vive e non riesce a fare a meno di viverle. Ma questo non mi ha mai tolto la capacità di chiamare le cose con il loro nome, al di là dell’amore che potevo o meno provare per coloro con i quali mi sono assunto la responsabilità di vivere quegli atti. 

Ed è proprio in virtù dell’esperienza che ho (e di quella di migliaia di altri fratelli che ho conosciuto, anche non credenti) che posso dire che i momenti in cui non avevo rapporti con quegli uomini che avevo cercato di amare, erano anche quelli in cui li stavo amando davvero.

(2 - continua)

P.S.

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lunedì 20 giugno 2022

GIONATA, LA MORALE SESSUALE E IL DIALOGO MANCATO - Prima parte di un'intervista su un dono che la Chiesa da tempo ha dimenticato di custodire (E sul perché il Papa non sta dicendo niente di nuovo).

 


Il 12 Febbraio di quest'anno mi ha contattato un membro del gruppo LGBT cristiano Gionata, Silvia Lanzi, insieme alla sua compagna unita civilmente, per chiedermi un'intervista da pubblicare sulle pagine del loro sito. La richiesta mi ha perlomeno stupito, dal momento che è ben noto come io consideri pressoché eretici i gruppi cristiani LGBT, quantunque siano spesso bazzicati anche da preti cattolici di dubbia fama, e in alcune diocesi siano anche diventati (a volte per sola ingenuità dei singoli vescovi locali) i soli referenti di una non meglio classificata "pastorale omosessuale" (che già solo nella denominazione fa accapponare la pelle).

Eppure. Eppure Silvia e sua moglie sono apparse sinceramente interessate a sentire "per una volta un punto di vista diverso", di qualcuno che cerchi di vivere ciò che il Magistero della Chiesa da sempre propone per tutti gli uomini e le donne di ogni tempo (e non solo per chi ha attrazione omosessuale), come il Papa ha recentemente ricordato suscitando tanto scalpore.  Parliamo naturalmente della Castità.

Che cerchi di viverla, ci tengo a sottolinearlo. Perché sul riuscire, si fa sempre fatica. I miei detrattori infatti godono sempre molto del fatto di poter dire di avermi incontrato in questo o in quel sito di appuntamenti, o di aver conosciuto qualcuno che con me è persino venuto a letto, salvo però dimenticare che io sono sempre il primo a dire di non vivere una castità piena, se non a fasi alterne, ma che nonostante questo nella castità riconosce un valore. 

Perché, grazie a Dio, io non credo che la Verità sia relativa o dipendente da chi la annuncia: se una cosa è Bene, resta tale anche quando tu non riesci a viverla del tutto. 

Ecco, Silvia e la sua compagna questo di me l'avevano capito. E non volevano la mia intervista per poterla manipolare in qualche modo a loro piacimento: loro volevano davvero iniziare un confronto con un'esperienza diversa. Ci tengo a sottolineare questo: ho avuto completa carta bianca nel poter spiegare dettagliatamente tutte le ragioni, mie ma soprattutto della Chiesa, nel difendere qualcosa che è per il Bene della persona e non per la sua castrazione. Anche per il Bene delle persone con attrazione omosessuale, come tanti meglio di me potrebbero testimoniare.

Purtroppo però questo confronto che si è rivelato piacevole e fruttuoso tra me e le due donne, non si è rivelato altrettanto fruttuoso nel momento in cui l'intervista è stata proposta al direttivo del sito di GIONATA, che ne ha negato la pubblicazione. 

Potrei dettagliare gli infiniti scambi di messaggi e email con cui, chi si fa così spesso ambasciatore di 'inclusività', 'rispetto' e 'diritti negati', ha trovato mille scuse per negare a me il diritto di raccontare la mia storia e le ragioni della mia fede su un sito che, a quella fede, ha  spesso piacere di lasciarsi affiliare, come "LGBT Cattolico". Ma a quanto pare i paladini del dialogo e della libertà, lasciano la libertà di "dialogare" solo a quelli che la pensano come loro.

Stupito? No, non lo sono.

Rattristato sì. Perché nel vedere la bellezza dell'incontro con Silvia, e la sua capacità di riconoscere il Bene in un confronto paritario e non ideologico, per un attimo avevo davvero sperato di avere un'opportunità per arrivare a chi in buona fede voleva capire qualcosa della proposta della Chiesa, senza pregiudizi. Ma questa opportunità non è stata colta, con grande rammarico mio quanto di Silvia e la sua compagna. E almeno questa realtà si è rivelata per ciò che è: un gruppo attivista come un altro, che dopo aver partecipato al pride, si diletta in più anche nell'andare a messa. 

A voi ogni altra considerazione.

Ciò che ne è venuto però è un lavoro del cui valore resto convinto, ed è per questo che, d'accordo con Silvia, come da infinite mail suddette, ho deciso di pubblicare nelle prossime quattro settimane le quattro domande che mi sono state poste,  in quello che resta un tentativo lodevole di cercare una strada e dei fratelli, laddove altri ti hanno insegnato a vedere solo nemici.

Ed ecco perciò a voi la prima domanda-risposta con il cappello introduttivo che Silvia e la sua compagna avrebbero dovuto pubblicare su Gionata. 

Buona lettura!


Il nostro di oggi è decisamente un ospite fuori dal coro rispetto agli altri. Si chiama Giorgio Ponte, è uno scrittore, ed è omosessuale. Niente di nuovo, direte voi. Se non che è cattolico praticante - bella storia, anche mia moglie lo è. Ma a differenza sua lui prova a seguire i dettami della morale sessuale della Chiesa - che detto così è un po' brutale e alquanto riduttivo. Per capire meglio il suo percorso di fede e il suo pensiero, ho deciso di farci quattro chiacchiere: ne è risultata un'intervista molto appassionata e appassionante, piena di spunti di riflessione. Una delle più coinvolgenti mai fatte, perché è il confronto che ci accresce.

Ecco cosa ci siamo detti.

 

Ex abrupto. Non credi che il Catechismo della Chiesa cattolica sia troppo tranchant per quanto riguarda la sessualità (tutta la sessualità)?

A un certo punto del mio percorso di fede mi sono assunto la responsabilità di mettere in discussione tutto ciò che la Chiesa mi aveva da sempre proposto come buono, perché, per quanto mi sia sempre fidato che lo fosse, ero convinto che questo non mi esimesse dal chiedermene le ragioni. In questo modo, senza dare nulla per scontato, e grazie anche ai successivi studi di teologia, ho avuto modo di sperimentare che non c'è fede al mondo che rispetti e valorizzi la sessualità (ma direi la persona umana nella sua interezza) più della fede cattolica.

San Giovanni Paolo II con la sua teologia del corpo ha insegnato per anni come il maschile e il femminile, nella loro complementarietà fisiologica, ci parlino di un Dio che è amore, partendo proprio dalla concretezza della carne, (a questo proposito consiglio il libro di due miei amici che hanno fatto del loro cammino di coppia, l’occasione per sperimentare quegli insegnamenti: “Il cielo nel tuo corpo”  di Lodi e Cavicchi).

Le parole non bastano a descrivere quanto grande sia ciò che la Chiesa ci consegna in merito: una bellezza che parla di Dio attraverso ogni singola parte del nostro corpo, in ogni funzionalità biochimica e psicologica, prima che spirituale.

In un mondo in cui il sesso è visto come un’attività come un’altra da vivere nella coppia (e ormai nemmeno più nella coppia, al pari di uno svago qualsiasi che si può praticare fra amici in ogni momento, come un corso di pilates o una pizzata insieme), la Chiesa restituisce un valore alla corporeità, e quindi al sesso, che solo un Dio incarnato può rivelare. Un Dio che ha fatto del nostro corpo qualcosa di divino. 

Se questo sia da giudicare ‘tranchant’, io non lo so. A me sembra solo meraviglioso.

Anche su un piano umano (e come potrebbe essere diversamente nella religione del Dio-uomo!) ciò che molti percepiscono come una castrazione, la castità (che in una relazione non matrimoniale significa anche - ma non solo - continenza) in realtà è una grande occasione per imparare ad amare nella libertà, insegnando il valore umano della fatica e dell’attesa. Infatti non rispondere automaticamente ad ogni impulso (sessuale e non) è ciò che ci differenzia dalle bestie, oltre ad essere ciò che di educa a diventare adulti, perché costringe a stare nella frustrazione del proprio capriccio momentaneo. 

Solo così imparo a uscire da una visione del rapporto (e direi della vita) adolescenziale, dove tutto ciò che voglio devo averlo subito e senza sforzo. Peraltro quando l’altro non è oggetto del mio appagamento sessuale, inizio a vedere molto prima tutte quelle imperfezioni, limiti e difetti che è necessario che io veda, per capire se lo sto amando davvero per ciò che è e non per l’idea che mi sono fatto di lui/lei. 

Conosco coppie che sono andate avanti anni e anni prima di vedere che non erano fatte per stare insieme, solo per l’interdipendenza e l’annebbiamento cui il sesso li aveva abituati. Invece, senza quella maschera che tutto esalta e migliora, l’altro si rivela prima per quello che è, imperfetto, e questo fa sorgere subito evidente la domanda: ma io voglio stare con te perché sei tu, o sto con te solo perché tu mi gratifichi (non solo sessualmente)?

Quello che a prima vista appare come una visione tranchant, dipende da un atavico difetto di comunicazione che la Chiesa spesso e per troppo tempo non ha saputo gestire, parlando più di ciò si poteva o non si poteva fare, piuttosto che della bellezza che la morale e il vangelo custodivano e di come essa aiutasse l’Amore a crescere. 

Non mi riferisco alle istituzioni ufficiali (ci sono infiniti documenti bellissimi in merito), ma a chi ha avuto a che fare con le persone direttamente nella vita di tutti i giorni: i sacerdoti. Non è una colpa: il mondo era diverso, molte cose erano date per scontate. Per troppi secoli la Chiesa ha vissuto di rendita in un mondo dove era Lei a "dettare le regole" e perciò col tempo in molti si sono dimenticati di essere tenuti a dover dare ragione della speranza che quelle "regole" custodivano, anche in questa materia. Fino al punto in cui oggi i preti stessi molte volte hanno smesso di credere che delle ragioni ci siano. 

Ed è accaduto così che alla gente siano rimasti in mente solo tutti gli apparenti ‘no’ a certi comportamenti che il Magistero dava (e dà) a partire dal Vangelo, ignorando che dietro ciascuno di quei 'no' ci fosse sempre un ‘sì’ a qualcosa di molto più grande, bello e di valore di quanto, chiunque passi il tempo a sbandierare la ‘liberazione sessuale’, possa mai avere fatto esperienza.

Esistono migliaia di testimonianze in tal senso: gente che ha vissuto il sesso come il mondo diceva, e che hai poi riscoperto il valore della castità nel suo significato più profondo, come la vera liberazione. Una liberazione grazie alla quale ha poi anche potuto godere fisicamente, con un’intensità al di sopra di qualsiasi cosa sperimentata in precedenza, l’unione sessuale con la persona con cui aveva scelto di unirsi in matrimonio, dopo un’attesa fatta di ricchezza più che di rinuncia.

È così, questa speranza è autentica: la castità ha delle ragioni umane e spirituali! Basta cercarle. Con l’aiuto di Dio, naturalmente. Da soli, è una grandezza alla quale è difficile aspirare.

A questo proposito ci tengo a precisare che non è mio interesse (né mio diritto) dare un giudizio morale su chi, per diverse ragioni, non sia in grado di vivere la sessualità così. Io stesso di sesso ne ho fatto moltissimo e rispetto ad esso ho vissuto e vivo a fasi alterne forme di dipendenza più o meno gravi, ed è proprio per questo che capisco bene le molte difficoltà che può incontrare chi non riesce a vivere una chiamata del genere pur riconoscendone la bellezza. Ciò non toglie però che questa chiamata sia per tutti gli uomini, e non solo per gli omosessuali. E se Dio chiama ogni uomo o donna a vivere qualcosa, vuol dire che quel qualcosa deve essere in qualche modo possibile per tutti, con il Suo aiuto. 

Altrimenti come si spiegherebbe la chiamata universale alla santità? Rinunceremo anche a quella? O faremo finta che riguardi sempre qualcuno più "bravo" di noi? Eppure sappiamo che non è così. 

I santi non erano bravi. I santi si sono solo fidati di Qualcuno che era più bravo di loro. Perché non è la castità o il seguire tutte le regole in sé che fanno la differenza, ma il fidarsi di un Dio che conosce l'uomo meglio di quanto lui conosca sé stesso e per questo lo invita a vivere con Lui ogni cosa, compresa la sessualità, nel modo in cui Lui l'ha pensata per la sua gioia.  

È un cammino, certo, e il cammino è fatto anche di cadute. Tuttavia, senza avere una meta verso la quale camminare, nessuno di noi si porrebbe mai il problema di provarci. 

Ed è solo quando ci provi, in un cammino di Verità, che inizi a sperimentare quanto la Chiesa avesse ragione nel proporre un certo tipo di valore, nella sessualità, come in tutto. Perché Essa non parla da sé stessa, ma per Colui che è la Verità. 

Nella mia esperienza di uomo ferito, io posso testimoniare che tutte le volte che ho potuto vivere una castità piena, sono state anche quelle in cui ero più felice. E badate, non ero felice perché non facevo sesso, ma al contrario: non avevo bisogno di fare sesso perché ero felice. 

Infatti il sesso che non è unito a una vera esperienza di donazione totale (che solo in Dio può essere tale), di solito serve a coprire varie forme di infelicità e frustrazione, più o meno consapevoli. Perciò per vivere una castità piena, più che preoccuparci di come non fare sesso, dovremmo chiederci cosa stiamo cercando di coprire con il farlo. E ascoltare quel grido del nostro cuore.  

Per quanto mi riguarda io ero felice perché stavo amando qualcuno libero dal bisogno di possederlo. E quel modo di amare, mi faceva fare un'esperienza vera di Gesù. 

Solo Cristo, infatti, può insegnare ad amare così. 

Perché solo Lui, mostra all'uomo, come essere Dio.

(1- continua)

P.S.

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