lunedì 28 novembre 2016

NON TUTTE LE BUFALE SONO FREGATURE. Da Linc Magazine, Giugno 2015



Oggi vorrei parlarvi di Gennaro (nome fittizio, persona reale), giovane cameriere di una nota catena di pizzerie, conosciuto in occasione di una cena con ex-colleghi di negozio. Gennaro mi colpisce subito per il modo in cui cerca di venderci un dolce fatto con la crema di bufala, del quale nessuno ha realmente voglia, ma che i suoi modi simpatici ci convincono ad assaggiare.

A fine serata iniziamo a chiacchierare e scopro che il ragazzo fa il cameriere solo per mantenersi. In realtà è venuto a Milano per realizzare un sogno: lavorare come disegnatore per una casa di moda. Io sto con Marta! docet, insomma.

La storia poteva finire qui, se non fosse che dopo qualche tempo, un noto marchio di lusso mi contatta per un posto come commesso. All’epoca dei fatti avevo iniziato da poco a insegnare, perciò non ero interessato, ma mi ricordai di Gennaro. Fare il venditore per un marchio d’alta moda sarebbe stato un pelo più vicino al suo sogno di quanto non lo fossero pomodori e mozzarelle. Così decisi di girare alla boutique il suo profilo.

Un mese dopo il ragazzo lavorava per loro.
Dopo un anno, quando il contratto non gli viene rinnovato, Gennaro non si perde d’animo: il suo sogno è ancora vivo. Proprio mentre sta cercando un nuovo lavoro, ecco che arriva la chiamata da una nota firma italiana: “Vorremmo prenderla come disegnatore nel nostro studio creativo”.

Cos’era accaduto? Il ragazzo aveva parlato della sua passione con il proprio responsabile che, conquistato come me dalla sua energia, gli aveva fornito un indirizzo al quale inviare i propri lavori. Gennaro aveva colto di nuovo la palla al balzo, salvo poi dimenticarsi dell’invio, dal quale erano passati mesi.

Quando mi ha chiamato per dirmelo mi sono commosso.

Il motivo per cui vi ho raccontato questa storia è legato alle molteplici occasioni lavorative che l’evento di EXPO rappresenterà per molti. Come al solito le critiche non si sono risparmiate, soprattutto legate al fatto che si tratta di contratti necessariamente a tempo determinato e spesso non qualificanti. In generale si taccia l’EXPO di non poter essere risolutiva della crisi attuale.

Tutto vero.

Certo, i lavori offerti sono poca cosa rispetto alla crisi generale. Ma chi può dire cosa possono diventare?

Ed ecco il punto. Di fronte a un evento mondiale come EXPO, la cui genesi è stata già macchiata da infiniti peccati originali di cui tutti sappiamo (non ultimi gli atti di vandalismo che hanno ferito Milano il primo maggio), l’atteggiamento che possiamo avere è duplice: scegliere di vedere solo il negativo o, come Gennaro, rimboccarci le maniche e decidere cosa fare con quello che ci è dato.

Non basterà infatti ragionare su quali tecniche utilizzare per rispettare questo pianeta in modo che tutti possano godere dei suoi frutti, se fra tutte le coltivazioni possibili dimenticheremo l’unica che può dare vita al genere umano: la Speranza.

Proprio ciò che è successo dopo gli scempi dell’inaugurazione mi fa credere che il mondo, noi, alla fine ci rialzeremo sempre. Vedere i Milanesi tutti insieme, prendere scope e ramazze, cazzuole e barattoli di vernice e cercare di riparare al male ricevuto, mi fa dire che davvero noi Italiani possiamo essere più dei soliti lamentosi disfattisti. Noi possiamo essere quelli che vedono le opportunità. Noi possiamo lavorare con Speranza.  Anche per soli sei mesi. Anche solo per il tempo di un Expo.

A tutti, chi ce l’ha e chi ancora no,

Buon lavoro!

mercoledì 23 novembre 2016

"NON AVERE PAURA. LA PAURA E' UNA TENTAZIONE".




Figlio mio, fratello, amico,

ho cercato a lungo di parlarti, ma tu fai di tutto per sfuggirmi. Perché hai paura di me? Ho nostalgia della tua compagnia, del tuo sorriso, del tuo abbraccio, e so che anche tu nel tuo cuore avverti la stessa mancanza.

Perché allora mi allontani?

Temi di avvicinarti? Temi che stando con me tu possa soffrire? La sofferenza fa parte della vita.

Temi di non essere in grado di starmi dietro?

Ogni cammino è costellato di cadute. E tu cadrai sempre, che ti affidi a me o no. Ma se sarai con me, quando cadrai non dovrai fare affidamento solo sulle tue forze per rialzarti: avrai le mie a reggerti. E quando piangerai avrai qualcuno che possa capire il tuo dolore. Sempre.

Ti vedo affannarti nella ricerca di chi comprenda il tuo cuore, di chi sappia guardarti dentro e amarti così come sei. Eppure io, che sono l’unico che sa veramente ciò che porti dentro, spesso vengo rifiutato da te. Io conosco la tua sofferenza perché la provo insieme a te, e vedo oltre le tue maschere e le tue brutture. Io conosco la tua storia e il tuo dolore ed è per questo che la mia misericordia e la mia pazienza verso di te vanno oltre quella di qualsiasi uomo: perché io conosco ciò che nessun altro sa e vedo quello che nessuno può vedere, ciò che tu nascondi perfino a te stesso.

Soffro terribilmente quando mi ignori, quando non ti confidi con me, quando trovi tempo per tutti gli altri amici tuoi e a me non racconti nulla. Soffro perché vorrei aiutarti, vorrei ascoltarti, accogliere le tue ferite e le tue gioie, ma tu non me ne dai la possibilità.

So quanto ti spaventa camminare con me, ma non devi avere paura. La paura è una tentazione. Credimi, io so di cosa sto parlando. Non aver paura di abbandonare il bisogno di dominare la tua esistenza. Lascia che io adempia il vero desiderio del tuo cuore.

So quante seduzioni e mali ti tormentano. Conosco queste cose, perché io stesso le ho vissute.

Credi davvero che non sia mai stato tentato di usare il mio potere per costringere te e i tuoi fratelli a stare con me, sapendo che questa era l’unica cosa che poteva rendervi felici? Lo avrei fatto per voi, per difendervi, ma non sareste stati mai liberi, mai veramente felici, perché non consapevoli. Come vedi, a me il male si è presentato travestito da bene, come tante volte capita a te.

O forse credi, solo perché sono Dio, che non sappia o non conosca le molte tentazioni e i molti desideri a cui il tuo corpo ti espone? Ho un corpo anch’io, e se è vero che sono Dio, lo è altrettanto il mio essere Uomo. Io ho provato tutte le seduzioni con cui tu ti scontri ogni giorno, molto prima di te, ma con la violenza e il tormento di mille tempeste, poiché sapevo di avere il potere, se lo avessi voluto, di soddisfare ogni mio desiderio.

Io so quello che provi. Più di chiunque altro: voglio solo stare con te quando lo vivi, quando il male ti tenta, la sofferenza ti attanaglia, il dubbio ti dilania. Non posso eliminare queste cose dalla tua vita, ma posso darti la forza del mio Spirito per superarle. La forza che mi sostenne nel deserto.

Posso darti i miei occhi per vedere ciò che è inganno e ciò che è vero, per smascherare i molti lupi travestiti da agnelli che ti circondano, e darti la forza per combatterli.

Io lo posso fare e lo voglio fare. Perché ti amo! Perché so che solo questo può darti gioia. Come io infatti sono passato da tutte queste cose per giungere alla risurrezione, così anche tu stai sicuro che, con me, non resterai impantanato nel dolore e nelle difficoltà, ma troverai la pace del tuo cuore.

Ti prego, ciò che hai da vivere, vivilo con me! Scegli di stare con me! Per me il dono più grande è solo quello di poterti stare accanto. Quando gioisci e quando stai male allo stesso modo. Perché ogni momento della tua vita sia sempre rischiarato dalla luce e dal conforto del mio Amore.

Perché tu sei mio figlio, mio fratello, il mio amico più caro, e io non posso stare un istante senza che il mio pensiero vada a te.

Ti voglio Bene e ti abbraccio con tutto il calore di cui sono capace.

Per sempre tuo, Gesù.

***

Quando tornai da Roma, più di dieci anni fa mi fu data la possibilità di seguire un gruppo di giovani universitari nel movimento di cui facevo parte, i Gruppi ACJ. Un'esperienza che considero tutt'oggi un privilegio aver vissuto.

Di volta in volta mi trovai ad elaborare insieme a Suor Carmela, donna la cui forza enorme è pari solo all'umiltà, modi nuovi per far fare loro esperienza di Cristo. Fra gli altri, alcuni racconti brevi o spunti narrativi, che per caso mi sono trovato a rileggere in questi giorni.

In quegli incontri settimanali davanti al Santissimo vidi come le parole scritte messe in mano a Dio potevano generare vita in modi molto diversi a seconda delle persone, e mi confermai nel desiderio di poter fare questo con la scrittura per quante più persone possibili.

Quella che ho pubblicato qui oggi è una lettera nata da quella esperienza: un messaggio immaginario di Gesù sulla tentazione e sulla caduta; su quell'umanità di Dio che troppo spesso dimentichiamo e nella quale risiede la nostra speranza di salvezza.

Non ricordo più se l'avessi elaborata per intero io o se avessi aggiunto delle parti a un testo preesistente. Alcune cose ricordo con chiarezza di averle pensate. Di sicuro so che rileggerla ieri mi ha commosso per il modo in cui ancora, dopo tanto tempo, queste parole mi risuonano dentro come dette da Lui in persona.

Con l'augurio che esse possano essere di consolazione per qualcuno di voi come lo furono per quei ragazzi, che allora erano fratelli e oggi sono amici, ve le dono.


A chi ci crede e a chi ancora no, non smettete di cercare la Speranza nella vostra vita.

Voi siete meravigliosi.

martedì 15 novembre 2016

CHI "ROMPE" GUADAGNA! E DI COCCI NON NE HA. Da Linc Magazine, Marzo 2015





Ogni volta che scendo in Sicilia mi chiedo cos'altro troverò di chiuso. Perché se la crisi si sente ovunque, è vero che da noi si sente di più.

E così se percorri Via Ruggero Settimo, la strada che in un’altra epoca era stata il Salotto Buono di Palermo, ti può capitare di passeggiare fra le macerie di quel mondo antico; macerie invisibili e per questo peggiori di quelle della Seconda Guerra Mondiale, perché presenti solo nel ricordo di chi quel mondo l’ha vissuto o almeno ne ha assaporato gli ultimi respiri, e quindi destinate a sparire con lui.

Passi davanti ai resti della vecchia Libreria Flaccovio, per decenni l’ultimo baluardo dell’antica editoria palermitana, e scopri che al suo posto c’è un negozio di abbigliamento, di quelli che fa i vestiti in Cina o chissà dove; prosegui rattristato e ti ritrovi davanti al ventre vuoto di Mazzara, il caffè che per cento anni ha nutrito i Palermitani di dolci e prodotti fragranti, dove Tomasi Di Lampedusa, sotto gli occhi di mio nonno, scriveva a un tavolino il suo Gattopardo, e dove ora giace un locale buio e senz’anima. Torni indietro, più giù, in cerca di qualcosa che ti ricordi la città in cui hai vissuto e i tuoi piedi ti portano davanti Carieri&Carieri: generazioni di uomini palermitani hanno comprato qui i loro abiti di alta sartoria. Di padre in figlio, la tradizione di chi voleva un completo che durasse una vita, veniva consacrata in questo luogo.

Chiuso anche lui. Le prove della sue esistenza si impolverano nel mio armadio.

Mi guardo intorno, e scopro che al posto dei luoghi che davano un’anima a questa città è tutto un brulicare di marchi stranieri. A un tratto passeggiare qui, o in Corso Vittorio Emanuele a Milano, o in Via del Corso a Roma è esattamente la stessa cosa.

Tutto perduto.

O forse no...

Quando sono sul punto di credere che questo nostro mercato globale abbia ucciso la bellezza delle produzioni locali, mi infilo in una stradina sconosciuta ed eccolo lì, un baluardo di speranza.

Nascosto agli occhi del grande pubblico un negozietto con un’insegna divertente attiva i miei ricordi: “Le rompiscatole”. Qui, da tredici anni, un paio di donne hanno messo su una realtà artigianale che sopravvive in barba a tutti i trend del momento: in un posto grande quanto la mia camera da letto le proprietarie realizzano e mettono in vendita oggetti di arredo decorati a mano. Pezzi unici, deliziosi, allegri. Di quelle cose considerate assolutamente inutili e che costano pure un po'. Quando hanno aperto, non c’era ancora la crisi di oggi, eppure io avevo predetto (con molta poca lungimiranza): “Bello. Un anno e chiuderà”.

Oggi le rompiscatole sono ancora lì, a smentirmi, premiate dal loro talento e da quell’esser artigiane e un po' artiste in un'epoca in cui le nuove tecnologie sembrano l'unica frontiera possibile per il mercato: una generazione di passaggio tra un mondo che non esiste più e uno che non esiste ancora, a ricordarci che ciò che ha reso l'Italia (e la Sicilia) apprezzate nel mondo sono proprio la creatività e l’abilità fondate su un valore irriproducibile in serie: la mano umana, che fa diversa ogni cosa, e proprio per questo rende ogni cosa unica.

Entro, facendo tintinnare la campanella, e vengo subito accolto dal sorriso gentile delle due ragazze. Lo stesso che resta immutato da tredici anni.

Lo stesso che fa sorridere anche me.
Sospiro sollevato. Forse non tutto è perduto.


A tutti, chi ce l’ha e chi ancora no,

Buon Lavoro!

domenica 13 novembre 2016

LA FORZA DELLE DONNE. Da Leading Myself, 11 febbraio 2015




Una delle collaborazioni di cui vado più fiero è stata l'articolo sulla donna che ho scritto per LeadingMyself, un sito che si occupa di Leadership femminile, ma che straordinariamente non basa quest'ultima sulla lotta fra i sessi. Non a caso una delle sue fondatrici scrive nella propria presentazione personale: "Credo nelle storie belle di questo paese, credo nel talento, nel valore e nell’uguaglianza.  Credo nelle donne e negli uomini. Credo in Noi".

Ringrazio LeasdingMyself per avermi dato l'occasione di parlare della bellezza che c'è nella nostra diversità di uomini e donne.

***

“PROF, MA PERCHE' DIO HA SCELTO DI INCARNARSI IN UN UOMO E NON IN UNA DONNA?”


Guardo la mia alunna di terza: ha già nello sguardo tutto l’anelito alla rivoluzione, la sete giovane di chi è pronta a dar battaglia; generazioni di femministe passate e future sono condensate in quegli occhi, istintivamente portati a difendere un valore di cui ancora non conoscono la portata: la femminilità.

“Cioè vuoi sapere perché Gesù era maschio?” chiedo.
“Sì, perché? Insomma, Dio poteva scegliere anche di nascere donna, no?”

Sorrido e vado con la risposta semplice. “Se a quel tempo una donna avesse parlato come parlava Gesù, probabilmente sarebbe finita lapidata nel giro di cinque minuti. Almeno da uomo lui ha potuto predicare per tre anni, prima che decidessero di toglierlo di mezzo”.

Vedo che la risposta non la convince.
E fa bene.
Non convince nemmeno me.

“Insomma sarebbe solo una ragione storica?” chiede, scettica.
Sorrido di più. Brava la mia ragazza.
“C’è un’altra ragione, in verità” aggiungo con fare misterioso.
Lei resta in attesa.
“Questa è la logica del Dio cristiano: scegliere il più debole, perché attraverso lui, risulti ancora più evidente la potenza della sua grazia”.
“Vuole dire che Gesù era debole?” interviene di getto un compagno, già scandalizzato.
“Voglio dire che il sesso debole, al contrario di quanto si dice, è l’uomo. Non la donna”.

È un attimo. Se avessi sparato un colpo in aria avrei attirato meno l’attenzione di quanto non abbia fatto la mia controversa affermazione. Subito parte il talkshow: da un lato le proto-femministe che fanno il verso ai loro compagni maschi, inorgoglite paladine del girl-power, e dall’altro i sedicenti atei virili, che diventano improvvisamente pii devoti in difesa di un Dio maschio in cui dicono di non credere.

In mezzo a loro ci sono io, che me la rido.

E aspetto. So che finché non avranno dato libero sfogo a tutti i luoghi comuni che conoscono, nessuna delle due fazioni sarà disponibile ad ascoltare qualcosa di nuovo e antico a un tempo. E cioè che uomini e donne sono diversi, e che nella custodia di questa diversità possono insegnarsi qualcosa. Là dove l’uno è debole, è custodito dalla forza dell’altro.

Mi chiamo Giorgio Ponte e come avrete capito nella vita faccio il professore alle scuole medie. Ma prima di questo (e dopo e durante) sono uno scrittore di romanzi.

Un romanzo, a dir la verità: Io sto con Marta!

Che poi è il motivo per cui mi è stato proposto di scrivere qui, sulla donna. Perché, vedete, io le donne le conosco molto bene. Vengo da una famiglia con una linea femminile decisamente prominente: pittrici, cantanti, pasticcere, madri di famiglia, donne forti e all’avanguardia, che uscivano da sole in luoghi e tempi in cui era consuetudine vivere chiuse in casa attendendo di prendere marito. Donne che hanno fatto della loro femminilità la loro arma più grande, difendendola quando non c’era nessun movimento femminista a farlo per loro. Ma che poi, nei movimenti femministi, non si sono ritrovate per niente.

Una lunga dinastia di cui l’ultimo anello sono mia madre e le mie sorelle, più grandi di me. Loro, specialmente loro, mi hanno nutrito e amato, insegnandomi ciò che spesso a un uomo è precluso (e forse non a torto): la sofisticata psiche femminile.

Così, forte di questo, ho deciso di rischiare e interpretarne una io, di donna. Marta appunto. Mettendo in lei tutta la delicata complessità del suo genere, ma lasciandole dentro qualcosa di me. Marta, mi piace dire ogni tanto, è un personaggio che accomuna tutti perché ama come una donna, ma lotta come un uomo.

Non perché le donne non lottino, anzi. Ma è un modo diverso di lottare, più sottile. Più elegante, forse. Il modo di Marta è irruente, teso, quasi fisico. Molto maschile.

Eppure la sua arma più grande resta il cuore. È la donna Marta che vince, non l’uomo che c’è in lei. Perché questa è la forza che possiedono le donne. Celata, mite, essa regge il mondo intero, perché non ha bisogno di affermare sé stessa per dimostrare di esistere: la forza delle donne è la capacità di amare, incondizionatamente. Una forza che l’uomo può acquisire con lunghi anni di esercizio, mentre per le donne è istintiva, iscritta nella carne.

E visto che oggi mi viene chiesto di parlare di leadership femminile è su questo che mi pare importante porre l’accento: io sono convinto che la donna, per affermarsi nella società, debba prima di tutto ritrovare se stessa. Deve ricordarsi cioè, cosa la rende grande. La sua forza appunto.
La mia Marta si conquista la sua leadership senza dover far finta di essere ciò che non è. Conserva tutta la sua fragilità, ed è disposta a sacrificarsi, come solo una donna sa fare. Non ha interesse a conquistare nessuno. E per questo conquista tutti.

Per troppo tempo ci si è cullati nella falsa convinzione che solo privando la donna di ciò che la rendeva tale, la si potesse rendere libera. E allora via le differenze sessuali, via le attitudini personali, via il desiderio di maternità, via tutto ciò che implicasse diversità.

Via la donna, insomma.

Ma io credo che affermare la differenza fra i sessi non sia un atto discriminatorio, quanto un segno di rispetto nei confronti delle persone. Finché le donne continueranno a pensarsi come brutte copie del peggiore esempio di uomo, non faranno altro che alimentare un sistema che non le valorizza.

Allora, se esiste una ricetta per la leadership femminile, sicuramente sta nell’aggettivo che la contraddistingue: femminile. Amo troppo la donna, per non odiare ciò che il mondo sta facendo di lei. Applaudiamo a libri e film che inneggiano al sadomaso delle casalinghe, alla prostituzione consenziente delle liceali, al mercimonio gratuito delle ragazzine… tutte quelle attività che semplicisticamente un tempo servivano all’altro sesso per additare noi uomini come “porci”, e che oggi vengono applaudite da quelle stesse donne come segno di emancipazione.

Ha senso? Io credo di no.

No, io credo ancora che per conquistare il mondo siamo chiamati non a cambiarci in risposta alle aspettative che quel mondo ha su di noi, ma a cercare di scoprire chi siamo veramente, perché è di quella autenticità che la società ha bisogno.

La conquista della leadership non si può vivere in termini di sostituzione, ma di integrazione. La donna non può sostituirsi all’uomo, ma piuttosto integrare ciò che a lui manca e imparare a vederlo non come il nemico da combattere, ma come l’alleato su cui contare. Finché il rapporto fra i sessi verrà considerato una guerra, allora da questa guerra non usciranno che vittime.

La forza fisica maschile, la nostra rigidità normativa, non sono caratteristiche da temere, ma su cui fare affidamento. La società infatti ha bisogno di una dimensione normativa esattamente come un bambino ha bisogno di un padre che gli fornisca regole per sperimentare sé stesso.

Ma una norma senza cuore rischia di diventare burocrazia e prigione, come una famiglia senza madre, rischia di diventare un luogo freddo in cui abitare. Per lo stesso motivo oggi anche il nostro mondo sta diventando un luogo freddo in cui abitare.

Una società, infatti, che non apprezza la bellezza delle differenze fra i sessi, per riflesso non apprezza nemmeno la bellezza delle donne. E senza la bellezza delle donne, questo mondo non è un luogo in cui valga la pena vivere.

Almeno non per me.

A tutte le donne di ieri e di oggi, combattete per difendere la vostra bellezza.

giovedì 10 novembre 2016

GENERAZIONE GIOVANI. NON TUTTI I "BROCCOLI" FANNO BENE ALLA SALUTE. Da Linc Magazine Dic-Gen-Feb 2015


A Dicembre di due anni fa, per la mia rubrica sui temi del lavoro "Io sto con Giorgio!" pubblicata sulla rivista LincMagazine, mi fu chiesto un pezzo in preparazione alla sempre più prossima Esposizione Universale di Milano.

A quei tempi insegnavo ancora religione in una scuola media estremamente politicizzata e mi capitò di essere vittima di un episodio di discriminazione che si giocò sulla pelle dei ragazzi e mi fornì lo spunto ideale per parlare dei giovani e di ciò che ci aspettiamo da loro.

Qui di seguito l'articolo che ne venne fuori.

***

Dato il tema della vicina EXPO 2015, l’alimentazione, oggi vorrei parlarvi di quella che ho personalmente ribattezzato la ‘Generazione Broccoli’: quella massa di persone tirate su per forza d’inerzia, senza che in loro si sviluppi un sistema nervoso autonomo che gli permetta di scoprirsi ‘esseri umani’, mettere le gambe, e uscire dal proprio campo.

In una parola, oggi parliamo di Giovani.

Sì, perché si dà il caso che in una delle circa settanta vite che conduco in contemporanea, io abbia anche la fortuna di fare parte dell’esteso esercito di insegnanti precari della scuola statale. Perciò, avendo la possibilità di ‘studiarli’ da vicino, mi sono chiesto cosa ci sia di vero dietro lo stereotipo che vuole i giovani senza aspirazioni, né sogni, né forza d’animo.

È tutto vero? Forse. A volte.

Ammettiamo che sia vero per molti, la domanda da porsi sarebbe, perché?

Capita ad esempio che nella scuola media in cui lavoro sette ragazzi, dopo avere assistito per caso a una mia lezione, facciano richiesta di potere seguire la mia materia (eh sì, avete capito bene, io insegno l’unica disciplina opzionale della scuola dell’obbligo, la Cenerentola delle materie: Religione); capita, dicevo, che questi ragazzi facciano richiesta per seguirla, nonostante avessero già l’autorizzazione per entrare a scuola un’ora dopo, o uscire prima, o fare altro. No, "udite udite!", loro vogliono fare qualcosa in più. Di loro spontanea volontà.

Genitori entusiasti, docenti pure, si fa richiesta, convinti che l’entusiasmo sia condiviso anche dalla dirigenza che deve dare l’autorizzazione.

E invece no: “La normativa non permette cambi ad inizio d’anno”.

Va bene, il rispetto delle norme in una società civile è tutto. Ma si sa, ogni legge ha le sue clausole: la normativa prevede anche che i ragazzi possano seguire da uditori, se c’è l’approvazione congiunta di famiglie e preside.

Picche di nuovo.
Motivazione: “troppo complicato da gestire”.

Ora, non voglio aprire qui una disquisizione sul valore culturale e umano per cui lo Stato Italiano (e non solo) garantisce la possibilità a scuola di studiare la religione cristiana a confronto con le altre, né mi permetto di entrare nel merito della fatica di una dirigente che deve gestire una scuola proveniente da trascorsi infelici.

Ma ciò che mi chiedo è: cosa è stato insegnato oggi a questi ragazzi?

Che la norma prevale sulla persona; che se una cosa è difficile è meglio rinunciarvi; che non devi mai fare più di quanto ti sia richiesto, nemmeno se lo vuoi fare, nemmeno per passione. In breve, gli abbiamo insegnato ad essere quei giovani di cui ci lamentiamo tanto.

Broccoli, appunto.

Ora, se queste generazioni sono il nutrimento del mondo che verrà, forse varrebbe la pena di porsi qualche domanda sul perché di questo mondo ci si lamenti così tanto. In fondo si sa: noi siamo quello che mangiamo.

Forse con l’EXPO 2015 alle porte, oltre a discutere di quale cibo possa fare bene al loro corpo, potremmo anche chiederci quale cibo stiamo dando alla loro anima e alla loro mente.

Perché sì, i broccoli fanno bene alla salute, ma non in questo caso.

Non se quei broccoli sono chiamati ad essere uomini e donne di domani.


A tutti, chi ce l’ha e a chi ancora no,
buon lavoro!

martedì 8 novembre 2016

“7 COSE SULLA MIA OMOSESSUALITA' CHE VORREI DIRE AL MIO DIRETTORE SPIRITUALE”. Da Aleteia, 31 Agosto 2015


Jean Lloyd è una professoressa e si definisce “felicemente sposata”. È madre di due figli, ma per anni ha condotto una vita omosessuale, e sulla base di questa esperienza offre i propri consigli a sacerdoti e consulenti che vogliono orientare adeguatamente i membri della comunità LGBT e che le chiedono aiuto.

Jean si rivolge anche a coloro che non ritengono importante l’esercizio dell’omosessualità o lo raccomandano, così come a coloro che, rifiutandolo in teoria, si sentono “obbligati” per “misericordia” a non invitare alla castità e alla conversione.

A questo scopo, ha scritto un articolo sul The Public Discourse intitolato Sette cose sulla mia omosessualità che vorrei dire al mio direttore spirituale, che riportiamo di seguito.

* * *

Sono trascorsi trent’anni da quando l’attrazione per lo stesso sesso è sorta dal profondo dei miei dodici anni. Questa attrazione è arrivata spontaneamente, senza volerlo, ed era allo stesso tempo potente e assorbente.

Come cristiana, il conflitto tra la mia sessualità e la mia fede è stato il più profondo e intenso della mia vita. Ora sono sulla quarantina e sono passata dall’essere apertamente lesbica ad essere sposata in modo eterosessuale, passando per un periodo di celibato. Il fatto che abbia bisogno di definire la mia unione coniugale come eterosessuale rivela come sia cambiato in questo periodo lo scenario culturale, così com’è cambiato il mio, ma in modo molto diverso.

Mentre crescevo ho sentito alcuni sermoni esaltati sull’omosessualità. Ora invece sento dichiarazioni d’amore. Mi fanno gridare di gioia. Amen! Avrebbe dovuto essere sempre così! Allo stesso tempo, però, molti pastori hanno iniziato ad accompagnare questo amore astenendosi dal fare riferimento alla morale sessuale della Bibbia ritenendola oppressiva, irragionevole o crudele. Amare le persone omosessuali comporterebbe quindi il fatto di affermarle nella loro condizione e incoraggiarle a rapporti sessuali e a comportamenti omosessuali.

Pur apprezzando il desiderio di agire con amore, questo non è l’amore genuino di cui hanno bisogno le persone come me. Amami meglio di così! L’esperto in Tommaso d’Aquino Josef Pieper lo dice in questo modo: “L’amore non è sinonimo di approvazione di tutto ciò che la persona amata pensa e fa nella vita reale… Non è nemmeno il desiderio per l’amato di sentirsi bene sempre e in ogni situazione, evitando di provare dispiacere o dolore in tutte le circostanze. La semplice ‘amabilità’ che tollera tutto tranne la sofferenza [dell’amato] non ha nulla a che vedere con l’amore reale. (…) Nessun amante può sentirsi a proprio agio quando vede che la persona amata preferisce la convenienza al bene”.

Amarmi con questo tipo di amore non è istantaneo né facile, ma la conoscenza e la verità ci possono aiutare a rimanere in piedi davanti alla crescente corrente di capitolazione della morale. Alla luce di tutto ciò, ecco sette cose che vorrei che tu sapessi sull’omosessualità.

NON SONO NATA GAY
1. Desidero che tu sappia che non è per il fatto che io non abbia scelto questo orientamento che si deduce che “sono nata in questo modo” o “Dio mi ha creata gay”. Anche se la genetica può influire su questi aspetti, non c’è una predeterminazione assoluta. Non è una cosa innata come il colore degli occhi o della pelle. (I gemelli dovrebbero avere il 100% di concordanza nell’orientamento sessuale se questo fosse geneticamente predeterminato e non implicasse fattori post-natali, ma gli indici di concordanza sono molto bassi. Cfr. Bailey, J.M., Dunne, M.P., & Martin, N.G., Genetic and environmental influences on sexual orientation and its correlates in an Australian twin sample. Journal of Personality and Social Psychology, 78, 2000, pp. 524-536.)
Guardo indietro e vedo com’è nato nella mia vita. Ovviamente altre esperienze sono diverse dalla mia, ma alla fine non è l’eziologia che importa. Le relazioni tra persone dello stesso sesso sono fuori dal disegno e dal desiderio del progetto del Signore. Dichiarare il contrario significa ignorare la Scrittura, l’autorità cristiana storica e la legge naturale. Ho bisogno di aiuto per vivere nella castità, indipendentemente dalla provenienza della mia attrazione per lo stesso sesso.

LE RELAZIONI OMOSESSUALI DANNEGGIANO IL MIO CORPO
2. Vorrei che conoscessi un modo migliore per aiutarmi a onorare il mio corpo vivendo secondo il disegno del Creatore. Sono nata così: donna. Dio mi ha creata donna. Per favore, non cadere nel dualismo gnostico che separa la mia vita spirituale dalla vita che vivo nel mio corpo. Cristo si è incarnato: il mio corpo è ora parte del Suo corpo, il tempio dello Spirito Santo. Agire contro il Suo progetto compiendo atti con persone del mio stesso sesso danneggia la dignità del mio corpo. Quanto ai miei fratelli che provano attrazione per persone dello stesso sesso, gli atti sessuali di questo tipo danneggiano il loro corpo molto di più a causa del loro “disegno” fisiologico e per gli effetti fisici del fatto di andare contro questo disegno. Questi corpi saranno riscattati nuovamente. Contano.

NON SO SE CAMBIERO' MA NON NEGARMI QUESTA POSSIBILITA'
3. Desidero che tu sappia che non mi aiuti a seguire Cristo chiedendomi che la mia attrazione cambi o non permettendo che cambi. Nessuno può promettermi che la mia attrazione cambierà. Gesù certamente non lo ha fatto. Ma non negarmi nemmeno la possibilità, soprattutto se sono un adolescente! Sia la scienza secolare che l’esperienza umana testimoniano la mutabilità sessuale e la potenzialità del cambiamento.

POSSO CONTROLLARE LE MIE PULSIONI
4. Vorrei che conoscessi un modo migliore di definire il “cambiamento”. Con gli anni, la mia esperienza di attrazione per lo stesso sesso è passata dall’essere un fuoco continuo a una scintilla occasionale. Un uomo che continua a sperimentare attrazione per lo stesso sesso ma che è felicemente sposato con una donna – anche se prima non credeva assolutamente che fosse possibile avere un rapporto eterosessuale – è ovviamente cambiato.

ANCH'IO DEVO ESSERE CASTA
5. Vorrei che sapessi che mi si dovrebbe attribuire la stessa volontà morale e la stessa responsabilità che si attribuisce a qualsiasi altra persona della comunità cristiana. Se gli eterosessuali non sposati devono essere celibi e si presume che in Cristo abbiano la forza di vivere secondo i Suoi comandamenti, devo essere anch’io così. Trattarmi in base a uno standard diverso è ridurre la mia dignità davanti a Dio. Anch’io sono chiamata alla santità.

DIO CI TRASMETTE MOLTO PIU' DI UN "NO"
6. Desidero che tu sappia che Dio insegna molto più di un semplice “No” sulla condotta omosessuale. Insegna anche questo, ma la verità sul corpo, sul sesso e sul disegno e il fine della creazione rivela molto di più.

DIMMI LA VERITA' SUL PROGETTO DI DIO
7. Desidero che tu sappia che non onora né Dio né me scusarsi per il Suo progetto o disegno. Apprezzo l’empatia per il dolore che i miei desideri disordinati possono provocare, ma Dio non sta trattenendo arbitrariamente qualcosa di buono da me. Mi sta mostrando ciò che porta al fiorire della vita e dell’umanità e mi difende da quello che potrebbe danneggiarmi. Permettiamo che l’amore sia senza dissimulazioni. Amami e dimmi la verità.

Posso fare due richieste? Amami, ma ricorda che non puoi essere più misericordioso di Dio. Non è misericordia affermare che gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso sono positivi. Non compromettere la verità: aiutami a vivere in armonia con essa.
Ti sto chiedendo di aiutarmi a prendere la mia croce e a seguire Cristo.

Fonte: Aleteia
Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti.

mercoledì 2 novembre 2016

"CRESCI BENE CHE RIPASSO". COME VINCERE LA CRESCITA E VIVERE FELICI Da LinC Magazine Set-Ott-Nov 2014

L'uscita online tre anni fa di "Io sto con Marta!" e la successiva scalata di Amazon, ha innescato un circolo virtuoso di opportunità e collaborazioni che hanno permesso a Marta e ad altre storie di Speranza di circolare liberamente nella rete e non solo.

Tra le tante, la più importante è stata di certo quella con Manpower Group, un'agenzia interinale che  a livello globale si occupa da decenni di unire le persone giuste al lavoro giusto.

Per i temi trattati, l'affinità tra Marta e questa azienda fu immediata e istintiva, nonché decisamente proficua per entrambi. Infatti, prima ancora che Marta diventasse un libro Mondadori, Manpower mi permise di organizzare la mia prima presentazione come autore selfpublisher nella loro sede centrale a Milano, adottandomi da quel momento per due anni.

Con loro andai al salone del Libro di Torino e la prenotazione in anteprima di 300 copie da regalare ai loro maggiori clienti per Natale, spinse Mondadori ad anticipare l'uscita del romanzo di due mesi. Ciò di cui però vado maggiormente fiero fu la rubrica di Story Teller "Io sto con Giorgio!" che Manpower mi affidò sul proprio magazine  trimestrale LinC (Lavori in Corso) in allegato con il Corriere, e del quale pubblico qui di seguito il primo articolo: uno spazio dal quale raccontare storie vere controcorrente, in un mondo del lavoro che non rispetta più la persona umana.

Una cosa di cui vado fiero è sempre stata la capacità di dimostrarmi riconoscente per il bene che mi è stato fatto, persino quando mi è capitato di finire in conflitto con chi si era fatto strumento di quel bene (non è questo il caso, ovviamente). Sono convinto infatti che il Bene vada sempre raccontato, perché questo ricorda a tutti noi che chiunque è capace di compierlo, anche quando nella vita ha commesso azione che buone non erano.

Ringrazio perciò questa azienda cui devo molto, nella quale ho potuto riscontrare una grande libertà di pensiero e un'attenzione alle persone che raramente ho trovato altrove. Almeno nella mia esperienza. Per ciò che ho visto, Manpower sa che il suo lavoro non è solo collegare una "risorsa" a una professione, ma dare a un uomo o a una donna la possibilità di compiere la sua storia personale, anche attraverso ciò che le dà da vivere.

Qui di seguito pubblico il primo di sei articoli che per un anno e mezzo hanno dato una voce a molti che quella voce la stavano chiedendo e la chiedono tuttora: mostrando che vivere in maniera diversa sì può, anche quando tutti sembrano dirti il contrario.

E ora l'articolo...


CRESCI BENE CHE RIPASSO

Quando mi è stato proposto di seguire una rubrica sul tema del lavoro, ho subito pensato: scusate, perché io? Meglio un economista, un giuslavorista, un sindacalista, no?

No. Meglio io, pare.

Intendiamoci, non perché io abbia degli studi in merito, ma perché con tutti i lavori che ho fatto in questi anni, cercando di capire il sistema e giocare alle sue regole, ho un’esperienza sul campo che forse, qualcuno ha ritenuto, è migliore di molti libri e paroloni. Perciò quello che vorrei portare qui oggi e nei prossimi numeri è la vita della gente che incontro quotidianamente e che, come tutti al momento, si arrabatta per capirci qualcosa.

Ma veniamo alla storia di oggi.

Ero in una nota gelateria di Milano e mi è capitato per caso (sì, fa per dire) di ascoltare la conversazione tra un giovane cliente e degli altrettanto giovani addetti al bancone. Il ragazzo, in gamba, proprietario di tre locali di successo nel Pavese, voleva sapere se la gelateria fosse di proprietà o in franchising e, nel qual caso, come facesse il proprietario del marchio a controllare tutti i suoi negozi senza impazzire. Infatti, non contento degli ingenti carichi di stress cui era sottoposto e che lo stavano sfinendo (per sua stessa ammissione), il tipo voleva aprirsi un quarto locale con annessa gelateria, per la cui gestione non avrebbe disdegnato qualche aiuto soprannaturale.

Non ho più potuto stare zitto.

Il punto è che non riuscivo davvero a capire di cosa sentisse il bisogno quel ragazzo. Qual era il movente che lo spingeva a usare la propria libertà di imprenditore autonomo, per imprigionarsi come il peggiore dei dipendenti sfruttati?

Gliel’ho chiesto. E lui, il gelato già semisciolto in mano, ha battuto le palpebre un paio di volte per poi rispondermi: “Se non mi ingrandisco io, lo farà qualcun altro”.

Ecco la risposta.

Bisogna ingrandirsi, prendere tutto lo spazio, mangiare ciò che si può. Anche ciò di cui non si ha bisogno, anche ciò di cui magari potrebbe avere bisogno un altro.

In una parola: crescere.

Crescere a qualsiasi costo. Se non cresci, non sei okay.

Sia chiaro, io non sono uno che insegue sogni utopistici in cui ognuno si coltiva il suo orto e tutti viviamo pascolando caprette e lavandoci nei torrenti. L’economia serve, e serve chi abbia grandi sogni e progetti. Il punto è: a quali regole crescere, e soprattutto per cosa?

Ho conosciuto store-manager che per l’ossessione della crescita cui li sottoponeva la loro azienda si sono beccati un esaurimento nervoso, portandosi dietro la moglie, i figli e i loro dipendenti. Chi ha potuto godere di quella crescita?

Allora, senza darmi per vinto ho deciso di parlare al ragazzo di Oscar.

C’è un noto ristorante di Milano, Da Oscar (se per il “peccatore” val bene l’anonimato, per l’uomo virtuoso il nome è d’obbligo) per il quale le regole vigenti del mercato mondiale sembrano non avere alcun valore. Da almeno trent’anni, infatti, l’omonimo proprietario viaggia sulla cresta dell’onda con un posticino di sì e no cinquanta metri quadri, che non ha mai avuto bisogno, né forse desiderio, di ingrandire. Per mangiare da lui bisogna sempre prenotare, ed è uno dei pochi locali a Milano che si concede il lusso di chiudere di domenica. Si gode la sua clientela, Oscar: esce dalla cucina, scambia battute, vive di ciò che ha e che probabilmente è proprio ciò sognava di avere quando ha scelto di darsi alla ristorazione. Senza pretendere di più, senza accontentarsi di meno.

Oscar non si preoccupa di rubare clienti alla concorrenza, perché sa che per vincere la concorrenza basta essere onesti, non tradire chi si affida ai propri servizi. Soprattutto sa che, nel mercato, di clienti ce n’è per tutti.

Non vuole avere di più, Oscar. Vuole avere il Meglio.

Così eccoci al punto di partenza. Il ragazzo finisce il suo gelato in silenzio, mi stringe la mano ringraziandomi per la chiacchierata “illuminante” (parole sue, giuro!) e si avvia per la strada con fare incerto.

Non so se alla fine aprirà o meno quel quarto locale, ma almeno so che si porrà il problema di farlo. E in un’epoca in cui, in nome della fretta, subappaltiamo fin troppo spesso le nostre decisioni agli altri, l’idea che qualcuno si fermi a pensare se quelle decisioni corrispondano o meno ai propri desideri reali, sarebbe già un grande risultato.

A tutti, chi ce l’ha e chi ancora no, buon lavoro.








martedì 1 novembre 2016

"IO OMOSESSUALE, TRA LE SENTINELLE IN PIEDI": QUANDO UN ARTICOLO TI CAMBIA LA VITA


Il 23 Ottobre 2014, in seguito alla prima veglia nazionale delle Sentinelle in Piedi (un movimento pacifico nato contro la legge sull'Omofobia che maschera dietro a un bisogno di giustizia, la proibizione per chiunque di raccontare storie controcorrente sull'omosessualità), scrissi un articolo per la rivista Tempi, in forma anonima, al quale mi sarei riagganciato il 13 Maggio successivo, per "uscire allo scoperto" e rendere la mia testimonianza pubblica.

Il desiderio di raccontare quell'esperienza, intensa quanto decisiva, nacque dal fatto che alla fine della veglia fui intervistato da una tivù online, che mi chiese perché mi fossi commosso nell'ascoltare dal portavoce delle sentinelle le parole scritte da un altro omosessuale francese sceso in campo in difesa della famiglia.

Io non avevo mai parlato davanti a una telecamera, insegnavo religione alle medie da un anno e Marta doveva uscire di lì a un paio di settimane con Mondadori. Avevo tutto da perdere e non pensavo che mi venisse chiesta una testimonianza già la prima volta che partecipavo a una simile manifestazione. Tuttavia capii che se fossi scappato in quel momento, sarei scappato per sempre. Siamo infatti chiamati a dare ragione di ciò in cui crediamo ogni volta che ce ne viene data la possibilità, perché altri un giorno non debbano pagare il prezzo del nostro silenzio.

Così senza sapere chi avessi davanti, aprii il mio cuore al giornalista: i tre minuti più intensi della mia vita. Lui se ne andò senza parole, e io rimasi credendo che avrei perso tutto di lì a poco .

La sera, quando andai a controllare il servizio online, scoprii che nulla di quanto avevo detto era stato riportato. Tutto il servizio era stato costruito per dare l'impressione che le Sentinelle fossero un gruppo di fanatici omofobi e fuori controllo (purtroppo in una piazza aperta, l'idiota c'è sempre, e di solito è quello che finisce col parlare davanti alla telecamera!).

Ricordo la sensazione di violenza che provai, come se qualcuno mi avesse tappato la bocca. Intendiamoci, non che fossi stupito. Ho studiato comunicazione, so bene come i giornalisti possano costruire un servizio in modo da fingere imparzialità e far però passare l'idea che interessa loro, selezionando i testimonial cui danno la parola. Nel mio caso era evidente che io non ero utile allo scopo.

Quando però questo gioco lo fanno con te, tutto cambia.

Non si trattava più di sapere che "i giornalisti omettono le informazioni in modo fazioso". Si trattava di me e di quel giornalista: quel fratello cui io avevo consegnato la mia storia, e i cui occhi lucidi tradivano la sua consapevolezza che quanto stava ascoltando era vero e importante.

Mi misi al computer e scrissi  con foga quello che sarebbe stato il primo articolo di una rivoluzione, prima di tutto personale. Le parole vennero di getto, veloci, come mai più mi è capitato. Sapevo che niente sarebbe stato più lo stesso: quello era il momento in cui prendevo posizione e sceglievo da che parte stare. Quello era il momento di  diventare uomo e smettere di vivere nella paura.

Di seguito, quello che scrissi.



IO OMOSESSUALE TRA LE SENTINELLE IN PIEDI.
SONO QUI ANCHE PER CHI STA DI LA'.

Arrivo che la piazza è gremita.
Da lontano si sentono già le voci. Grida. Insulti.
Mentre mi avvicino e il cuore inizia a battere avverto qualche parola:

"Maria, Maria, lo aveva già capito,
con un dito
l’orgasmo è garantito!"

È la prima volta che sento qualcosa del genere. E non posso fare a meno di chiedermi chi sia Maria.
Me lo chiedo, perché non voglio credere che stiano parlando di Colei che ha dato il Figlio che amo.
Me lo chiedo, perché mi fa troppo male la verità.
Sono al semaforo. La piazza di là. Vedo la gente in fila, sereni. Circondati da un branco di cani arrabbiati.
No, non cani. Fratelli. Eppure, sembrano cani.
Quando hanno smesso di guardarsi come persone? Quando hanno scelto di rinunciare a sé stessi per il branco?
Dio sa se questi fratelli non mi lacerano il cuore.

Ho paura.
Posso ancora andarmene. Posso voltare le spalle a tutto questo.
Rifugiarmi nel mio anonimato e dimenticare.
So che, se attraverso questo incrocio, la mia vita sarà diversa. E ciò che c’era prima, non ci sarà più.

E poi lo faccio. Senza nemmeno sapere come, mi ritrovo di là, fra i manifestanti.
Prendo posto, apro lo zaino, tiro fuori un libro e leggo.
Le mani mi tremano, avverto il brivido di chi si è appena gettato nel vuoto.
Le voci nei megafoni continuano forti.

"La famiglia tradizionale,
non è naturale,
ma patriarcale".

Sorrido.
Sì, lo è.
Patriarcale.
La famiglia si affida a un padre e poggia su una madre.
Questo è ciò che siamo chiamati a vivere, questo dobbiamo diventare: padri e madri.
Questo ci è stato portato via.
Non si tratta di generare figli o meno, di eccitarsi per una persona del proprio o di un altro sesso, né di sapere se il matrimonio sarà o meno la propria vocazione.
Si tratta di alzare lo sguardo dal proprio dolore, e ringraziare Dio per esso. Perché solo accogliendo il proprio dolore, possiamo riconoscere quello degli altri. E aiutarli.
Ed è ciò che faccio. Alzo lo sguardo, vedo il corteo che ci stringe gridando e mi commuovo.

Io, omosessuale, cattolico e innamorato di questo Dio.
Io con un Padre cui affidarmi, e una Madre Chiesa che mi ama.
Io che per anni non ho saputo dove stare, oggi sono qui, fermo, in mezzo a una piazza, che lotto con la sola forza della mia presenza. Con la mia paura, che è ancora qui, dentro di me, ma alla quale ho scelto da tempo di non dare più potere.
Il mio corpo, più volte usato per fare e per farmi del male, per abusare di me stesso, per chiedere disperatamente amore, oggi per il solo fatto di stare in piedi, dice più di quanto non abbia mai detto.

Dice dove sto.
Io sono qui e non sono di là.
E ciò che più mi sconvolge, io sono qui, anche per chi sta di là.
Questo luogo, questa presenza fisica, è il segno della mia presenza del mondo, è il modo in cui siamo chiamati a diventare uomini e donne di domani. Padri e madri. Anche per quei figli che non capiscono, che rinnegano, che ci odiano.
Che si odiano.
Perché i figli non si possono scegliere, ma solo amare.
Così ama Dio.
Così può amare l’Uomo.
Ed è proprio questo che mi sento adesso. Un Uomo.

Dopo aver creduto per tanto tempo che fosse il mio orientamento sessuale a dire chi sono, dopo essermi definito per anni omosessuale, ritenendomi una vittima innocente della vita, oggi per la prima volta, io mi sento un uomo, grato a quella stessa vita, da cui credevo di essere rifiutato.
Oggi do voce alla mia verità.
Sono una Sentinella in Piedi che guarda a un mondo nuovo.
Sono solo un uomo.
E questa è la mia storia.

Giorgio