Una delle collaborazioni di cui vado più fiero è stata l'articolo sulla donna che ho scritto per LeadingMyself, un sito che si occupa di Leadership femminile, ma che straordinariamente non basa quest'ultima sulla lotta fra i sessi. Non a caso una delle sue fondatrici scrive nella propria presentazione personale: "Credo nelle storie belle di questo paese, credo nel talento, nel valore e nell’uguaglianza. Credo nelle donne e negli uomini. Credo in Noi".
Ringrazio LeasdingMyself per avermi dato l'occasione di parlare della bellezza che c'è nella nostra diversità di uomini e donne.
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“PROF, MA PERCHE' DIO HA SCELTO DI INCARNARSI IN UN UOMO E NON IN UNA DONNA?”
Guardo la mia alunna di terza: ha già nello sguardo tutto l’anelito alla rivoluzione, la sete giovane di chi è pronta a dar battaglia; generazioni di femministe passate e future sono condensate in quegli occhi, istintivamente portati a difendere un valore di cui ancora non conoscono la portata: la femminilità.
“Cioè vuoi sapere perché Gesù era maschio?” chiedo.
“Sì, perché? Insomma, Dio poteva scegliere anche di nascere donna, no?”
Sorrido e vado con la risposta semplice. “Se a quel tempo una donna avesse parlato come parlava Gesù, probabilmente sarebbe finita lapidata nel giro di cinque minuti. Almeno da uomo lui ha potuto predicare per tre anni, prima che decidessero di toglierlo di mezzo”.
Vedo che la risposta non la convince.
E fa bene.
Non convince nemmeno me.
“Insomma sarebbe solo una ragione storica?” chiede, scettica.
Sorrido di più. Brava la mia ragazza.
“C’è un’altra ragione, in verità” aggiungo con fare misterioso.
Lei resta in attesa.
“Questa è la logica del Dio cristiano: scegliere il più debole, perché attraverso lui, risulti ancora più evidente la potenza della sua grazia”.
“Vuole dire che Gesù era debole?” interviene di getto un compagno, già scandalizzato.
“Voglio dire che il sesso debole, al contrario di quanto si dice, è l’uomo. Non la donna”.
È un attimo. Se avessi sparato un colpo in aria avrei attirato meno l’attenzione di quanto non abbia fatto la mia controversa affermazione. Subito parte il talkshow: da un lato le proto-femministe che fanno il verso ai loro compagni maschi, inorgoglite paladine del girl-power, e dall’altro i sedicenti atei virili, che diventano improvvisamente pii devoti in difesa di un Dio maschio in cui dicono di non credere.
In mezzo a loro ci sono io, che me la rido.
E aspetto. So che finché non avranno dato libero sfogo a tutti i luoghi comuni che conoscono, nessuna delle due fazioni sarà disponibile ad ascoltare qualcosa di nuovo e antico a un tempo. E cioè che uomini e donne sono diversi, e che nella custodia di questa diversità possono insegnarsi qualcosa. Là dove l’uno è debole, è custodito dalla forza dell’altro.
Mi chiamo Giorgio Ponte e come avrete capito nella vita faccio il professore alle scuole medie. Ma prima di questo (e dopo e durante) sono uno scrittore di romanzi.
Un romanzo, a dir la verità: Io sto con Marta!
Che poi è il motivo per cui mi è stato proposto di scrivere qui, sulla donna. Perché, vedete, io le donne le conosco molto bene. Vengo da una famiglia con una linea femminile decisamente prominente: pittrici, cantanti, pasticcere, madri di famiglia, donne forti e all’avanguardia, che uscivano da sole in luoghi e tempi in cui era consuetudine vivere chiuse in casa attendendo di prendere marito. Donne che hanno fatto della loro femminilità la loro arma più grande, difendendola quando non c’era nessun movimento femminista a farlo per loro. Ma che poi, nei movimenti femministi, non si sono ritrovate per niente.
Una lunga dinastia di cui l’ultimo anello sono mia madre e le mie sorelle, più grandi di me. Loro, specialmente loro, mi hanno nutrito e amato, insegnandomi ciò che spesso a un uomo è precluso (e forse non a torto): la sofisticata psiche femminile.
Così, forte di questo, ho deciso di rischiare e interpretarne una io, di donna. Marta appunto. Mettendo in lei tutta la delicata complessità del suo genere, ma lasciandole dentro qualcosa di me. Marta, mi piace dire ogni tanto, è un personaggio che accomuna tutti perché ama come una donna, ma lotta come un uomo.
Non perché le donne non lottino, anzi. Ma è un modo diverso di lottare, più sottile. Più elegante, forse. Il modo di Marta è irruente, teso, quasi fisico. Molto maschile.
Eppure la sua arma più grande resta il cuore. È la donna Marta che vince, non l’uomo che c’è in lei. Perché questa è la forza che possiedono le donne. Celata, mite, essa regge il mondo intero, perché non ha bisogno di affermare sé stessa per dimostrare di esistere: la forza delle donne è la capacità di amare, incondizionatamente. Una forza che l’uomo può acquisire con lunghi anni di esercizio, mentre per le donne è istintiva, iscritta nella carne.
E visto che oggi mi viene chiesto di parlare di leadership femminile è su questo che mi pare importante porre l’accento: io sono convinto che la donna, per affermarsi nella società, debba prima di tutto ritrovare se stessa. Deve ricordarsi cioè, cosa la rende grande. La sua forza appunto.
La mia Marta si conquista la sua leadership senza dover far finta di essere ciò che non è. Conserva tutta la sua fragilità, ed è disposta a sacrificarsi, come solo una donna sa fare. Non ha interesse a conquistare nessuno. E per questo conquista tutti.
Per troppo tempo ci si è cullati nella falsa convinzione che solo privando la donna di ciò che la rendeva tale, la si potesse rendere libera. E allora via le differenze sessuali, via le attitudini personali, via il desiderio di maternità, via tutto ciò che implicasse diversità.
Via la donna, insomma.
Ma io credo che affermare la differenza fra i sessi non sia un atto discriminatorio, quanto un segno di rispetto nei confronti delle persone. Finché le donne continueranno a pensarsi come brutte copie del peggiore esempio di uomo, non faranno altro che alimentare un sistema che non le valorizza.
Allora, se esiste una ricetta per la leadership femminile, sicuramente sta nell’aggettivo che la contraddistingue: femminile. Amo troppo la donna, per non odiare ciò che il mondo sta facendo di lei. Applaudiamo a libri e film che inneggiano al sadomaso delle casalinghe, alla prostituzione consenziente delle liceali, al mercimonio gratuito delle ragazzine… tutte quelle attività che semplicisticamente un tempo servivano all’altro sesso per additare noi uomini come “porci”, e che oggi vengono applaudite da quelle stesse donne come segno di emancipazione.
Ha senso? Io credo di no.
No, io credo ancora che per conquistare il mondo siamo chiamati non a cambiarci in risposta alle aspettative che quel mondo ha su di noi, ma a cercare di scoprire chi siamo veramente, perché è di quella autenticità che la società ha bisogno.
La conquista della leadership non si può vivere in termini di sostituzione, ma di integrazione. La donna non può sostituirsi all’uomo, ma piuttosto integrare ciò che a lui manca e imparare a vederlo non come il nemico da combattere, ma come l’alleato su cui contare. Finché il rapporto fra i sessi verrà considerato una guerra, allora da questa guerra non usciranno che vittime.
La forza fisica maschile, la nostra rigidità normativa, non sono caratteristiche da temere, ma su cui fare affidamento. La società infatti ha bisogno di una dimensione normativa esattamente come un bambino ha bisogno di un padre che gli fornisca regole per sperimentare sé stesso.
Ma una norma senza cuore rischia di diventare burocrazia e prigione, come una famiglia senza madre, rischia di diventare un luogo freddo in cui abitare. Per lo stesso motivo oggi anche il nostro mondo sta diventando un luogo freddo in cui abitare.
Una società, infatti, che non apprezza la bellezza delle differenze fra i sessi, per riflesso non apprezza nemmeno la bellezza delle donne. E senza la bellezza delle donne, questo mondo non è un luogo in cui valga la pena vivere.
Almeno non per me.
A tutte le donne di ieri e di oggi, combattete per difendere la vostra bellezza.
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